Rent, Sick Boy, Spud e Begbie, stesso regista (Danny Boyle), stessi attori e stesso autore (Irvine Welsh) vent’anni dopo, una generazione dopo. La scena iniziale di T2 evoca e contrasta quella frenetica corsa di Rent per sfuggire agli sbirri e ci prepara all’atmosfera del sequel: non siamo per le strade di Edimburgo e Mark detto Rent (Ewan McGregor) non cerca di seminare i poliziotti ma si esercita sul tapis roulant di una palestra prima di accasciarsi al suolo. Come scrivono alcuni giornalisti, siamo passati dalla “Cool Britannia a Brexit”. Allora Mark aveva tradito i suoi compagni scegliendo la vita e scappando col bottino. Adesso, di ritorno da Amsterdam dove lascia un lavoro onesto e un matrimonio finito, Mark si presenta dal fraterno Simon/Sick Boy (Jonny Lee Miller), che non è proprio lì ad accoglierlo a braccia aperte, con la sua parte di bottino. Ma poi tra una scazzottata e una minaccia, la magia si ristabilisce e l’avventura ricomincia. “Nostalgici turisti della propria giovinezza”, Simon e Mark rievocano eccitati episodi del loro passato in compagnia della bulgara Veronika (Anjela Nedyalkova), con la quale Simon ha intenzione di aprire un bordello, e vivono con disincanto il presente.
Boyle sfrutta tutte le occasioni formali e i linguaggi multimediali per voltare lo sguardo al passato e contestualizzare l’azione nel presente, riuscendo a strappare T2 dal rischio di essere un pallido e inutile prolungamento di un cult generazionale irriproducibile e ineguagliabile. Sfrutta il talento letterario pulp di Spud (Daniel Murphy), onesto amico ed eroinomane senza speranza, per immergerci nel passato, ma anche i filmati in super 8 dell’infanzia, poi i filtri di Snapchat per ricalibrare il presente, l’evasione di Begbie (Robert Carlyle) come rabbioso raccordo e memento di un destino che prima offre una possibilità e poi il tradimento.
Ritornare sulla trita e ritrita questione dell’utilità e potenza dei sequel o prequel poco importa e nulla aggiunge a T2, che la Berlinale presenta nel Fuori Concorso e che in Italia uscirà il 23 febbraio. Film sulla crisi, mascolina e questa volta di mezza età, sul disincanto di una generazione più che sulla ribellione, sulla paura della morte, T2 diverte e riconcilia. In fondo, ritornare a ballare sulle note di Lust for Life si può, la vita sarà pure imperfetta ma merita di essere scelta.
Presentato in competizione, The Dinner di Oren Moverman adatta il romanzo di Herman Koch servendo a cena un dubbio morale che coinvolge quattro genitori: l’aspirante governatore Richard Gere, la sua seconda moglie Rebecca Hall, il fratello afflitto da un disturbo mentale, Steve Coogan, e sua moglie Laura Linney. Perché i quattro siano stati riuniti da Gere intorno al tavolo di questo lussuoso ristorante, tra la riluttanza del fratello e il disappunto della moglie, lo scopriremo col tempo, dopo un susseguirsi di battibecchi fastidiosi, flashback nel passato dei fratelli e nelle due famiglie e lunghe descrizioni di piatti d’élite. Prima di arrivare a conoscere la tragedia e il relativo dubbio morale che impone una presa di posizione a ogni partecipante, Moverman ci avvicina a ognuno di loro, ai loro demoni, alle loro crisi e difficoltà relazionali. Solo dopo averceli mostrati da vicino lascia esplodere la tensione: i loro figli hanno commesso un crimine riprovevole. Che fare? Denunciarli per responsabilizzarli o insabbiare il caso per proteggere il loro futuro? E in che modo si può davvero proteggere il futuro dei propri figli? Le posizioni dei genitori prendono rotte diverse, dimostrando l’impossibilità di accordarsi attorno a una morale unica. Ed è questo il momento in cui film si fa denso, diventa lotta spietata all’affermazione del singola sopra ogni morale. Le madri-leonesse proteggono (è davvero protezione la loro?) i loro cuccioli, un padre sensibile all’esclusione dal rapporto madre-figlio e spodestato dal suo ruolo di protettore della famiglia resta in attesa di istruzioni, l’altro padre si erge a difensore di una morale universale che non accetta eccezioni per cui a ogni azione corrisponde una responsabilità da assumersi. Il caos regna sovrano, come nella conversazione a tavola così nel prendere una decisione, ma quel che conta, nel film di Moverman, è vedere i quattro (o tre) attori confrontarsi in una carneficina dialettica e psicologica.
Francesca Vantaggiato