La cinematografia sudcoreana ha avuto un decennio a dir poco spettacolare, specchio della crescita culturale ed economica del paese. Gli alfieri della propria patria all’estero sono stati sicuramente Park Chan Wook e Kim ki duk, tra i primi ad aver avuto il merito di portare al grande pubblico occidentale gli esempi più evidenti del talento che può vantare il loro paese.
Se Park ha avuto il favore di un pubblico devoto alle forti emozioni, non senza una spiccata identità autoriale supportata da una personale forza visiva, Kim Ki-duk ha imposto il suo stile, spesso imitato dai suoi conterranei, muovendosi in punta di piedi. Pur essendo L’Isola la sua quarta opera, si può certamente considerare il lasciapassare verso un’esposizione più eccellente verso il pubblico mondiale, anche se in Italia riceverà distribuzione solo successivamente all’uscita di altri suoi lavori. Non meraviglia, visto che il film, che sconvolse la Mostra del Cinema di Venezia nel 2000, rimane uno dei momenti più alti della carriera del regista. Un film silente, come la sua protagonista che da mite custode di un parco acquatico diviene prostituta di notte e contenitore di tutte le frustrazioni, depressioni, brutture e angosce dell’umanità. Un martirio intimo che deflagra in momenti di violenza contenutistica, necessari quanto il sacrificio della protagonista.
Gianluigi Perrone