Reduce da Nodo alla gola (Rope, 1948), in cui per la prima volta aveva usato la tecnica dei long take-10 minutes, Alfred Hitchcock realizzava un film apparentemente in discontinuità con il precedente, nel senso che, come da molti gli venne rimproverato, mancava quella suspense che contraddistingueva il suo tocco. Nel famoso libro-intervista con François Truffaut lo stesso Hitchcock a proposito de Il peccato di Lady Considine (Under Capricorn, 1949) ammise di aver compiuto parecchi errori: essersi cimentato con un’opera in costume, aver ripreso l’uso del piano sequenza sperimentato in Nodo alla gola che sottolineava ancora di più il fatto che il film non era un thriller, averci messo troppo poco umorismo, essersi intestardito ad ottenere come protagonista Ingrid Bergman il cui ingaggio era costato moltissimo, infine aver scelto come collaboratori alla sceneggiatura scrittori poco adatti.
Insomma, un vero e proprio mea culpa, avvalorato dalla circostanza che Il peccato di lady Considine fu un fallimento finanziario che determinò la scomparsa della società di produzione di cui il regista inglese era socio. Di ben altro parere erano però gli infaticabili sostenitori del cinema di Hitchcock, Éric Rohmer e Claude Chabrol, due dei più rilevanti cineasti della Nouvelle Vague, i quali, ribaltando i diffusi giudizi della critica di allora affermarono del film: “Ha un tono alto, ‘maestosa bellezza’ e ‘nobiltà letteraria’. Riprende alcuni temi fondamentali della letteratura universale (Balzac, Goethe, Dostoevskij): il dilemma fra libertà e morale, delitto e castigo, rigore morale, eccesso di rimorso e bisogno di confessione (il lungo monologo di Henrietta). Rimproverare al film di non essere un thriller significa non averne compreso la natura profonda: la tensione è tutta interna alle relazioni fra i quattro personaggi principali, alla impossibilità reale di intendersi che si accumula e esplode in alcuni momenti come la scenata di gelosia o il ferimento di Charles, l’esibizione delle bottiglie di liquore vuote o il ritrovamento della testa di morto”. Insomma i due registi non esitarono a rivalutare prontamente quello che dai più (e dallo stesso Hitchcock) fu ritenuto un passo falso.
Dopo tanti anni, è difficile esprimere un giudizio complessivo su Il peccato di Lady Considine, laddove se è vero che le considerazioni di Chabrol e Rohmer sono pertinenti certamente non si possono non notare alcuni elementi che rendono il film meno riuscito, sebbene le interpretazioni degli attori, prima fra tutti un’incredibile Ingrid Bergman che padroneggia un registro emotivo ampissimo, riescano a sostenerlo, catturando sempre l’attenzione dello spettatore. Alcuni lunghi piani sequenza – nella fattispecie quello della confessione della protagonista – riescono davvero ad aumentare il livello di drammaticità della vicenda, e anche in questo caso – come a più riprese notò Chabrol – Hitchcock si rivela un inventore di forme, nel senso che le inquadrature create a partire dai movimenti di macchina e quelli degli attori riformavano senza dubbio, e felicemente, la natura del profilmico, richiamando lo spettatore a partecipare più intensamente, a vagare negli spazi aperti e mutanti insieme ai personaggi, soffrendo con loro, fino all’epilogo. E, dunque, quantunque sia innegabile che l’attrattiva dell’intrigo manchi, allo stesso tempo Hitchcock produsse un quadrilatero di relazioni (i quattro personaggi, due uomini e due donne) in cui venne travasata tutta la tensione prodotta dallo scontro di personalità differenti, le une tese a prevalere, le altre a difendersi da un’invasione. Colpisce in particolare che uno dei personaggi negativi riesca alla fine a ravvedersi, finanche agevolando il processo di ricomposizione dei rapporti, riuscendo, in un certo senso, a redimersi in extremis, così da sfumare la nettezza della soglia che separa i buoni dai cattivi, come se un benevolo occhio si posasse su ognuno di loro, evitando di emettere sentenze inappellabili.
Joseph Cotten, reduce niente meno da Il terzo uomo (The Third Man) di Carol Reed, con Orson Welles, è abile a contenere il flusso emotivo del suo personaggio, lasciando però ugualmente trapelarne le emozioni, anche grazie a qualche decisivo tocco di Hitchcock – ci si riferisce all’altro bel piano sequenza in cui dopo le effusioni tra Lady Henriette e il suo lacchè Charles Adare (un buon Michael Wilding), la macchina da presa cerca Sam Flusky (Cotten), che, a quel punto, viene mestamente ripreso di spalle. A completare il cast una diabolica e al tempo stesso ingenua Margaret Leighton, la quale, nei panni della governante, si produce in felici momenti di recitazione.
Il peccato di Lady Considine è un film che mantiene a tutt’oggi una grande forza drammatica, e, sebbene non possa essere considerato tra i film più significativi di Hitchcock, merita un’attenta visione, se non altro per ammirare la grande prova di Ingrid Bergman, che già da sola vale il prezzo del biglietto.
Pubblicato da Sinister Film e distribuito da CG Entertainment, Il peccato di Lady Considine è disponibile in dvd in formato 1.33:1, con audio in italiano e originale, con sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali una bellissima intervista a Claude Chabrol che parla di Hitchcock e dei suoi film (“Hitchcock secondo Chabrol”).
Luca Biscontini
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