150 milligrammi, basato sul libro scritto nel 2010 dalla pneumologa Irène Frachon, porta sullo schermo un caso durato anni e non ancora concluso del tutto, lasciandosi dietro i pezzi del processo penale. Una lotta estenuante tra la vita e la morte, che, chiusa nelle quattro mura di un ospedale di periferia, dilaga in tutto il paese. Protagonista è una donna, ma soprattutto un medico, che nel ricercare la verità è costretta a scontrarsi con l’ignoranza e l’omertà di una società che preferisce chiudere gli occhi davanti all’evidenza.
Sinossi: Nell’ospedale di Brest dove lavora, una pneumologa scopre un legame diretto tra una serie di morti sospette e l’assunzione del Mediator, un farmaco in commercio da oltre trent’anni. Dall’inizio in sordina all’esplosione mediatica del caso, la storia ispirata alla vita di Irène Frachon è una lotta di Davide contro Golia per arrivare finalmente al trionfo della verità.
Recensione: Quanti morti? Questo è il titolo che appare nel libro, in seguito censurato, e che perfettamente sottolinea la domanda che ognuno avvicinandosi a tale caso si pone. Il caso del Mediator, il farmaco ritirato dal commercio nel 2009, scoppia in sordina nel 1998 quando tre medici della Sécurité sociale segnalano all’Agenzia del farmaco, in commercio dal 1976, alcuni effetti collaterali. Si venne a conoscenza, infatti, che il medicinale rilasciava nell’organismo una quantità potenzialmente tossica di norfenfluoramina, una sostanza capace di causare danni alle valvole cardiache e ipertensione alle arterie polmonari. Quello che per tutti in gergo era solo il farmaco “togli fame”, prescritto ai diabetici, si scopre essere un’arma mortale a cui non vogliono rinunciare né la multinazionale produttrice, né tantomeno quella schiera di benpensanti e accademici incapaci di vedere oltre il loro naso.
Quella della protagonista, interpretata da una meravigliosa Sidse Babett Knudsen, è una ricerca spasmodica della verità che si trasforma in una dura lotta contro tutti, senza alcun esclusione di colpi. La pneumologa spesso e volentieri nel luogo di lavoro si ritrova da sola e costretta ad alzare la voce anche con quei pochi che le sono vicini, ma troppo spaventati per andare avanti in un massacro assicurato. Emmanuele Bercot si fa carico della storia di questa donna, improntando l’intero film su di lei. Ѐ lei il personaggio che si vuole raccontare, sono i suoi umori, le sue sconfitte e il suo carattere ad essere l’ago della bilancia in una pellicola che oscilla tra la denuncia e l’impegno morale. La scelta della protagonista rende tutto questo possibile, i suoi atteggiamenti sopra le righe spesso e volentieri smorzano una tensione che certo emerge trattando determinate tematiche.
150 milligrammi possiede un valore intrinseco, non brilla per una sceneggiatura eccezionale, a volte schematica e troppo vicina ad un romanzo più che a un film, né per un ritmo incalzante, spesso lineare come l’intera narrazione, ma è capace, come raramente accade, di far entrare la macchina da presa nel cuore e nella mente del personaggio. 150 milligrammi si abbandona completamente nelle mani sapienti della protagonista. L’impegno civile, l’etica e la forte morale non sono altro che diversi perni su cui il fulcro, rappresentato ovviamente da Sidse Babett Knudsen e dal suo personaggio Irène Frachon, poggia per una riuscita esemplare dell’intera opera.
Alessandra Balla