Paolo Sorrentino è nato a Napoli nel 1970. Il suo primo lungometraggio, “L’Uomo in più” già premio “Made in Italy – Rai International” nell’ambito del premio Solinas (1999), è stato presentato nella competizione ufficiale alla Mostra del Cinema di Venezia 2001 ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero, fra i quali: la Grolla d’oro per la migliore sceneggiatura e la migliore interpretazione maschile con Toni Servillo, premiato anche ai festival di Annecy, Angers e Siviglia; il Nastro d’Argento come migliore opera prima; il Ciak d’oro per la migliore sceneggiatura; il Premio Amidei per la sceneggiatura; il premio Casa Rossa nell’ambito del Festival di Bellaria; il Dolly d’Oro Giuseppe de Santis nell’ambito del Festival di Torino; il Premio Linea d’Ombra al Festival di Salerno; Il Premio della Giuria al Festival di Buenos Aires.
Nel 2001 ha scritto e diretto il cortometraggio La notte lunga, presentato al Festival di Torino.
Nel 2004 ha scritto e diretto “Le Conseguenze dell’Amore“, in concorso al 57° Festival di Cannes. Il film ha ottenuto un ottimo consenso sia da parte del pubblico che della critica nazionale e internazionale. Tra i numerosi riconoscimenti che il film ha vinto nel 2005: quattro Nastri d’Argento per miglior soggetto, Miglior Attore Protagonista, Miglior Attore Non Protagonista, Migliore Fotografia; cinque David di Donatello per Miglior Film, Miglior Attore Protagonista, Migliore Fotografia, Migliore Sceneggiatura e cinque Ciak d’oro per Miglior Film , Miglior Regia, Miglior Montaggio, Miglior Manifesto e Migliore Presa diretta.
Nel 2006 ha realizzato “L’amico di famiglia“, presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Ecco cosa ci ha detto.
Che idea si è fatto di quello che sta accadendo a Napoli per le strade e che cosa ne pensa della repressione?
Io ci vivo a Napoli da sempre e ti posso assicurare che quello che sta accadendo in questi giorni è accaduto sempre. Ora và sui giornali perché ci può andare ma è sempre successo.. è così ampio il discorso.. quello che preoccupa ed è grave non è tanto l’omicidio in sé quanto una specie di degenerazione del tessuto sociale una sorta di guerra tra due fazioni.. se così si può dire -la parte sana e la parte insana della città. Questo crea un sistema pericolosissimo.
Non è mandando eserciti quindi che si risolvono certi problemi?
Se vogliono mandare eserciti li mandassero, ma la situazione è talmente grave che ci vorrebbero misure molto più drastiche che non si otterranno mai in questo Paese.
A che cosa si riferisce?
Misure drastiche come fare di Napoli una Zurigo ovvero una specie di laboratorio della liberalizzazione delle droghe. Altrimenti si tratta di misure tampone: l’esercito, i piani anticrimine non risolvono il problema.
L’idea della liberalizzazione della droga a Napoli sarebbe vincente e metterebbe in ginocchio i clan visto che in questa città il consumo di droga è feroce molto più che in altre posti.
Anche ne L’amico di Famiglia sinceramente mi aspettavo un riferimento alla droga che invece non c’è stato.
Se no poi pensano male? ( Risate ) già pensano male. Non c’è perché le droghe di solito sono delle ossessioni e questo personaggio di ossessioni ne ha già fin troppe e dargli anche una ossessione legata alla droga era veramente esagerato.
Il tema della solitudine e dell’amicizia sono dei temi che appartengono alla sua cinematografia e che sono presenti nei suoi film in maniera importante o no?
Sì, sono due situazioni molto importanti, mi piace metterli in scena, sono entrambi dei sentimenti che poi sconfinano in un altro che è quello della malinconia.
La cosa curiosa è che questa concezione venga fuori da un regista napoletano. Secondo gli stereotipi comuni i napoletani sono persone solari, allegre, sempre in compagnia.
La solitudine è ovunque, è dentro le persone, non è un fatto di città, sì esistono città più calde, città più fredde ma non basta per alleviare la solitudine vivere a Madrid piuttosto che a Stoccolma.
Per quanto riguarda il suo film precedente Le conseguenze dell’amore, in una intervista affermava che ogni emozione nel film era nata naturalmente grazie alla sinergia che si era formata all’interno del cast. In questo suo ultimo lavoro si è creato lo stesso clima o avete lavorato di più sul copione?
Negli altri due film ci sono state pochissime improvvisazioni; è successo di più in questo film ma nella misura in cui sul set qualche volta mi sono inventato delle scene che non erano presenti nella sceneggiatura, ma anche avvantaggiato dal fatto che il mio direttore della fotografia è estremamente veloce e quindi macinava e guadagnava tempo per poter occupare invenzioni a volte anche strambe frutto della suggestione del set; e infatti molte non sono entrate nel film.
Questo azzurro ricorrente ha qualche riferimento particolare?
No, è casuale perché a me piace il blu. Se c’è da fare un ambiente preferisco sempre il blu.
Quindi l’improvvisazione non c’è stata.
Di solito io sono molto fedele alla sceneggiatura però capita che ti viene l’invenzione lì per lì. E’ capitato per L’amico di Famiglia ma anche in maniera minore in altri film; spesso salta l’ambiente perché magari è cambiato rispetto a quando l’avevi concepito prima.
La scena ambientata sotto le palme è una scena inventata perché mi era cambiato l’ambiente, era diverso.
Quello che mi piace dei suoi film è che parla di storie in cui ognuno si può immedesimare perché sono storie che potrebbero accadere a chiunque. Quando scrive le sue sceneggiature e i caratteri dei personaggi si ispira alla quotidianità e ai fatti di attualità o alla fantasia?
In egual misura, è un misto di quotidianità, di realtà e di fantasia. Di solito parto da un qualcosa di molto reale e vado a conoscerlo ma non tanto perché se lo conosco troppo perde di fascino; quindi non indago troppo, non faccio quelle indagini dettagliatissime che fanno molti sceneggiatori perché significherebbe levare spazio alla fantasia.
Lei ha vinto un sacco di premi. Quando ha cominciato si aspettava un tale successo o la fama è arrivata inaspettata?
No, assolutamente non mi aspettavo neanche di diventare regista. Sei talmente occupato a fare il film che non ti poni il problema del dopo.
Lei è degli anni settanta…
Sì, del ’70 precisamente.
Lei – come me – ha vissuto gli anni ottanta in prima persona. Come vede questo continuo sfruttamento commerciale che da qualche anno a questa a parte si ha nei confronti di quel decennio?
Quando si è a corto di idee si tende a riciclare il passato. Il fatto è che gli anni ottanta erano stati gli unici anni che non erano ancora stati riciclati perché per lungo tempo sono stati considerati un momento mostruoso -e infatti lo sono- delle società. E’ un po’ come la moda, la moda non riesce mai a inventare niente quindi fanno sfilate ispirate una volta agli arabi, un’altra volta agli aborigeni.
Se gli fosse proposto andrebbe in America come hanno fatto ultimamente alcuni registi italiani a girare un film scritto da lei?
Un film scritto da me che me lo fanno montare a me, sì di corsa.
E scritto da altri o montato da altri?
Scritto da altri no.