L’edizione del Trieste Film Festival che si è appena conclusa è stata un’edizione molto al femminile. Diverse le cineaste che si sono distinte, ed abbiamo già avuto modo di parlare con entusiasmo, per esempio, della macedone Ana Jakimska e della moldava Ana-Felicia Scutelnicu, due giovani di talento parimenti in grado di testimoniare la vitalità del cinema che si fa oggi ad Est. Ma c’era anche un “esordio” che attendevamo con particolare curiosità: il debutto alla regia della grande attrice serba Mirjana Karanović, vero e proprio monumento della cinematografia balcanica, il cui carisma è noto anche alle platee internazionali per la sua partecipazione ai film di alcuni importanti autori. Da La polveriera di Goran Paskaljevic a diverse opere di Kusturica, fino ad arrivare a Grbavica – Il segreto di Esma, che valse anche alla regista bosniaca Jasmila Zbanic l’Orso d’Oro a Berlino.
Del resto gli esordi registici degli interpreti più navigati tendono a suscitare reazioni forti. A volte il loro passare dall’altra parte della macchina da presa convince. Altre volte può lasciare perplessi. Nel caso della Karanović l’accoglienza è stata pressoché unanime: una meritata ovazione, concretizzatasi poi nel Premio Trieste per il miglior lungometraggio in concorso.
Nostra opinione è che A Good Wife (Dobra žena, in serbo) fosse in effetti una spanna sopra qualsiasi altro lungometraggio di finzione visto a Trieste. Con dalla sua una forte capacità di emozionare, associata a una drammaturgia complessa, stratificata, in cui le problematiche personali della protagonista (emblema a sua volta di un universo femminile ricco di sfumature) vanno a innestarsi con estrema naturalezza in un quadro sociale sofferto, condizionato tanto dalle difficoltà del presente che dai traumatici ricordi della guerra nei Balcani.
Il personaggio principale del film è per l’appunto la cinquantenne Milena, interpretata con la consueta, straordinaria energia dalla stessa Karanović. La sua condizione iniziale potrebbe apparire quasi un idillio. E comunque Milena si presenta da subito come la classica donna che ha dovuto faticare parecchio, in circostanze oggettivamente difficili, pur di costruire il proprio benessere: una vita accanto all’uomo che ama, la stabilità della loro condizione economica, figli che crescendo hanno trovato la loro strada o ci stanno provando con buone possibilità. Ma le prime crepe iniziano ad affiorare e quel magico equilibrio potrebbe andare presto in frantumi…
Crepe nel fisico: la drammatica scoperta di un tumore al seno. E crepe ancora più profonde nell’anima, perché alcune casuali rivelazioni su quel marito che del recente conflitto ha sempre parlato malvolentieri pongono Milena di fronte a un’amara verità, ossia che anche lui sia stato un criminale di guerra coinvolto nel sistematico massacro di civili inermi.
Un po’ come in certi film italiani di mafia (ovvero di camorra, di ‘ndrangheta, di sacra corona unita), vedi ad esempio La terra dei santi di Fernando Muraca o Angela di Roberta Torre, a essere messa in evidenza è la battaglia silenziosa delle donne, il loro essere costrette a difficilissime scelte laddove il contesto antropologico e parentale può spingere verso l’omertà, verso il guardare dall’altra parte. Anche per salvaguardare altrettanto precari equilibri famigliari. Mirjana Karanović ha saputo pertanto districarsi in questa elaborata matassa di sentimenti e scrupoli etici riuscendo, sia come interprete che come autrice, a scavare in profondità nel carattere dei personaggi come anche nelle esperienze, così al limite, da loro affrontate.