A vederlo nelle foto in bianco e nero, con la faccia paffuta e gli occhi docili, Pablo Escobar sembrerebbe un uomo come tanti altri, davvero si fatica a credere che sia stato il più grande narcotrafficante della storia e, soprattutto, uno spietato assassino, capace di porre fine alla vita di migliaia di uomini senza batter ciglio. Negli anni ’80, in Colombia, pare che il traffico di sostanze stupefacenti (e in parte di armi) gli abbia fruttato un guadagno annuale stimabile intorno ai 30 miliardi di dollari, il che lo rese uno degli individui più ricchi e potenti allora in circolazione. Ma ciò che fa di Escobar un personaggio unico e più che mai inquietante è la profonda ambiguità di fondo, un’ambivalenza etica che fa oscillare la sua figura tra il mostro e il benefattore, laddove, seppur temutissimo, il feroce contrabbandiere seppe farsi amare non poco dalla popolazione della sua città, Medellín, giacché, a seguito delle donazioni finalizzate alla costruzione di ospedali e di altre svariate strutture pubbliche, raccolse consenso e complicità da tutti coloro che videro in lui l’uomo della provvidenza. Sincero sostenitore del Partito Liberale colombiano, divenne addirittura deputato nel 1983, a dimostrazione della sua grande popolarità, e ben si può comprendere quanto abbia potuto influire sulle scelte politiche del suo paese, eliminando chiunque non accettasse di farsi corrompere.
Questo breve preambolo è necessario per introdurre il primo, intenso film di Andrea Di Stefano, valente attore, che non poteva esordire meglio, dato che nel suo lungometraggio ciò che viene messo innanzitutto e per lo più a fuoco è proprio la doppiezza dell’animo del protagonista (interpretato da un magnifico Benicio Del Toro), un uomo che seppe riunire intorno a sé un numero enorme di persone, dapprima con un approccio amichevole, quasi filantropico, e successivamente con la paura, a cui seguiva un rapporto di dominio che comportava la gestione totale della vita di chi era stato coinvolto. Escobar, che è stato realizzato con ‘solo’ 3,6 milioni di dollari, è un film assai intelligente, in quanto, evitando di farsi risucchiare dalla smania di ricostruire con esattezza esegetica la vita del pericoloso trafficante, mette in scena il difficilissimo rapporto tra Nick, ragazzo canadese dedito al surf sulle coste colombiane, e Pablo, laddove il primo commise il fatale errore di essersi innamorato della nipote del malvivente. Dapprima accolto con entusiasmo all’interno della famiglia Escobar Gaviria, di cui divenne suo malgrado membro, Nick deve confrontarsi con un modo di vivere in cui alle relazioni affettive si sovrappongono dei rapporti gerarchici che tramutano chiunque in un affiliato del clan criminale, che non può sottrarsi agli eventuali ordini impartiti. Il ragazzo, che sulle prime si era lasciato ingenuamente lusingare dal fare seduttivo di Pablo, successivamente, in un guizzo di lucidità, organizza una fuga con la fidanzata in Canada, ma il precipitare della situazione personale di Escobar lo obbliga a eseguire una richiesta non prevista.
Di Stefano che, è bene precisarlo, ha anche scritto il film, articola assai bene un incontro che fa esplodere le contraddizioni dell’etica di Escobar, sebbene gli effetti siano patiti da chi gli sta intorno. Nella sequenza iniziale, in cui lo vediamo pregare insieme alla madre, Escobar chiede a Dio se ha compreso il significato delle sue azioni, e da ciò emerge il chiaro delirio di onnipotenza che gli consente di arrogarsi il diritto di vita e di morte su chiunque, nemici e non. Il regista chiude il film in maniera circolare, mettendo in bocca ad Escobar una battuta ad effetto, ma anch’essa assai efficace a far comprendere quanto il grande criminale non avvertisse alcun senso di colpa, nella misura in cui non riteneva di poter essere rimesso al giudizio di qualcuno, fosse anche Dio. Dice Escobar (lo scrivente riferisce pressappoco fedelmente): “Mi farò portare un cannocchiale potentissimo, e dalla mia cella sarò io ad osservare Dio”. Insomma, cos’altro aggiungere? Di Stefano, poi, non cade neanche nel cliché dell’esibizione della violenza, che rimane sapientemente fuori campo, riverberando fortemente all’interno del film, e Del Toro è abilissimo a restituire quel clima di tensione che aleggia continuamente. La schizofrenia irrecuperabile di Escobar ricorda quella del tribalismo de Il Padrino di Francis Ford Coppola, laddove anche lì si predicava l’unità e l’amore per la famiglia, ma, al tempo stesso, non si esitava a eliminare chiunque intralciasse quel delirante ideale (fino ad arrivare, per esempio, all’uccisione di Fredo, fratello di Mike, ne Il Padrino parte II).
Escobar è un film da vedere, innanzitutto per conoscere una pagina di Storia recente, e soprattutto per fare esperienza dell’etica del grande malvivente, sperando, magari, che cessi di esercitare un sotterraneo fascino sulle masse, che spesso hanno veduto in questo tipo d’uomo un modello da seguire.
Pubblicato da Good Films e distribuito da CG Entertainment, Escobar è disponibile in blu ray, in formato 2.35:1 con audio in italiano e originale (DTS-HD 5.1 e 2.0) con sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali: Catching Pablo, Making of, Trailer.
Luca Biscontini
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