Sinossi: Mitsuha Miyamizu è una ragazza che vive con la sorella più piccola e la nonna a Itomori, una cittadina rurale in mezzo alle montagne; Taki Tachibana è un ragazzo appassionato di arte e architettura, che vive a Tokyo, dividendo il tempo tra la scuola e un lavora part-time nel ristorante Il giardino delle parole (nome che omaggia il mediometraggio diretto nel 2013 da Shinkai). Un giorno i due studenti si risvegliano nel corpo dell’altro. Ha inizio così una corrispondenza sentimentale a distanza, in un percorso di crescita per conoscere l’altro e scoprire sé stessi.
Recensione: Scritto e diretto da Makoto Shinkai (già autore de La Voce delle Stelle, 5 cm per secondo, Il Giardino delle Parole), Your Name., nei cinema italiani dal 23 al 25 gennaio, è un film di animazione che mette in relazione spettacolarità ed emotività, mantenendo i due livelli volutamente sovrapposti.
Le tematiche care a Shinkai si dipanano proprio sulle molte polarità messe in gioco fin dalla trama: non solo uomo e donna, corpo e anima, città e campagna, ma anche passato e presente, tradizione e modernità.
A queste si aggiunge la distanza formale tra figura e sfondo: come spesso accade nell’animazione giapponese, l’incontestabile e mirabile sforzo tecnico produce come risultato un paesaggio realistico sul quale si posizionano figure umane ritratte, invece, con lineamenti sintetici se non stereotipati, aumentando così la separazione tra personaggio e ambiente. “Un sogno troppo realistico” continuano a ripetere i protagonisti.
Gli elementi sono collegati simbolicamente tra di loro dalla figura geometrica, continuamente evocata, della spirale che, in modo quasi didascalico, assume la forma circolare, come quando un nastro diventa un braccialetto, nel momento in cui i due poli si sfiorano. E proprio presso lo spazio circolare disegnato dal lago Itomori, durante il crepuscolo, mentre il giorno sfuma nella notte e tutti i manicheismi vengono meno, i due protagonisti hanno il loro consapevole incontro.
Sicuramente l’intreccio non brilla di originalità, e tante sono le opere di finzione che tornano alla mente, non ultimo il disneyano Quel pazzo venerdì, ma forse la pratica dell’accostamento può risultare meno sterile se ci serviamo de Il Ritratto di Jenny. Con il film diretto nel 1948 da William Dieterle Your Name. condivide il tentativo di rappresentare il tempo: in entrambi vicenda si sviluppa grazie a uno sfasamento cronologico, in entrambi l’arte è uno strumento di trascinamento narrativo e un mezzo per sbirciare tra le maglie del tempo, le cui barriere sono convenzioni, proprio come le forme dialettiche di cui sopra, oltrepassabili grazie all’Amor fou, che però, in quanto tale, conduce il film su un instabile perno, sospeso sul baratro dello stucchevole e del patetismo adolescenziale. Un rischio a cui contribuiscono le canzoni dei Radwimps, in apertura a modi sigla iniziale, quasi ci trovassimo di fronte a un anime seriale. Un pericolo che comunque viene elegantemente scongiurato.
Antonio Rubinetti