‘Vi presento Toni Erdmann’ è un film di Maren Ade.
La trama
Ines, business woman tutta affari e tailleur nero, non dà spazio ai sentimenti e ai rapporti. Fino a quando non irrompe Winfried/Toni Erdmann, un burlone bizzarro che ama i travestimenti e le scombina la vita. È suo padre.
Recensione:
Schiacciare l’ originale film di Maren Ade, Vi presento Toni Erdmann, sulla relazione padre-figlia, sarebbe un’operazione riduttiva. Sebbene il rapporto in questione sia quello per antonomasia, laddove contiene in sé una dialettica paradigmatica che costituisce la premessa di qualsiasi altra sorta di intersoggettività, ciò che il lungometraggio della regista tedesca pare innanzitutto e per lo più mettere a fuoco è la deriva umana, antropologica, sociale e, dunque, in un’ultima analisi, anche economica, attuale, giacché la quarantenne Ines, figlia di un insegnante di musica in pensione – un uomo guascone, capace di rompere con le proprie bizzarrie e i ripetuti scherzi e travestimenti l’andazzo mortifero della routine quotidiana – è una donna completamente sussunta dal suo lavoro (l’impresa in cui è impiegata ha lo sgradevole compito di operare ristrutturazioni di aziende, ovvero di licenziare il personale in esubero); è totalmente immedesimata nel suo ruolo, che prende maledettamente sul serio, sembra quasi un automa, insensibile com’è a qualsiasi altro stimolo proveniente dall’esterno. Winfried/Toni incarna il naturale contrappunto per tentare di risvegliarla da un torpore portentoso, che per essere infranto necessita di un forte scossone, e quale idea migliore se non presentarsi sotto mentite spoglie? Quando Winfried simula di essere un uomo d’affari, per entrare in contatto con l’ingessato mondo della figlia, l’effetto provocato è quello di parodiare impietosamente una modalità di essere-nel-mondo davvero insostenibile, quella per intenderci in cui ci si conforma (si crede) totalmente alle dinamiche frenetiche del capitalismo contemporaneo, e Ade, con leggerezza di tocco, mette alla berlina tale mascherata, mostrandone la miseria e, soprattutto, la miopia di fondo.
L’ambiente
D’altronde Ade stessa ha affermato con chiarezza di aver voluto caratterizzare in una certa maniera l’ambiente in cui si muove Ines, mossa dall’esigenza di criticare fino in fondo un’esistenza insensatamente immolata all’altare di un lavoro che non ha più nulla di umano, facendo in tal modo emergere con cristallina chiarezza la dimensione tragicomica del mondo contemporaneo. Toni è il vuoto che erra tra i termini di una situazione stantia, è l’elemento che fa magicamente retrocedere la rappresentazione alla presentazione, e l’effetto prodotto è ottimo, sia per quanto riguarda la stigmatizzazione di un’inguaribile decadenza, sia sotto il profilo della tensione emotiva che si instaura tra padre e figlia e soprattutto tra film e spettatore, laddove quest’ultimo partecipa intensamente, immedesimandosi (in particolare con la figlia, vista la stravaganza di Winfried), cercando di mediare tra i due protagonisti, quantunque tutta la simpatia, e non potrebbe essere altrimenti, venga accordata allo strampalato padre, interpretato magnificamente da Peter Simonischek. Sul tema del doppio ci si potrebbe trastullare ad libitum, ma qui ci limitiamo a segnalare che il gioco messo in scena da Toni è la miccia che fa esplodere il castello in cui si era arroccata Ines, e, per sua fortuna, si apre un nuovo orizzonte su cui posare magicamente lo sguardo.
Dilatazione dei tempi
Maren Ade compie un notevole lavoro di scrittura, che rivela una profonda meditazione sulle questioni trattate, e la poca prolificità della regista attesta la tendenza ad analizzare fino in fondo gli argomenti di volta in volta affrontati. Sono presenti nel film alcuni momenti di autocompiacimento – ci riferiamo in particolare alla dilatazione dei tempi di certe sequenze – che sembrano rispondere più al desiderio di sventolare una sottesa autorialità (la regista ha suggerito di cogliere tutto il non detto del film che, a suo parere, costituirebbe il vero sotto testo, e questa affermazione tradisce un po’ d’ingenuità), anziché essere davvero funzionali alla narrazione della storia. Crediamo di non sbagliare, dunque, segnalando l’eccessiva durata (162’), che imbolsisce un po’ l’insieme, minandone la freschezza di fondo. Difetto, quest’ultimo, ampiamente risarcito da una strepitosa sequenza finale (che ovviamente non sveliamo), in cui Ade, facendo ricorso a tutta la propria creatività, architetta un’atmosfera tragicomica insuperabile, in cui alle risate si alterna la profonda commozione per un rapporto che sembrava impossibile e che invece trova un proprio, singolare modo di evolversi.
Vi presento Toni Erdmann è un film inconsueto, non sempre facile, ma che ripaga completamente lo spettatore dell’attenzione e del tempo impiegati per la visione; è un’opera che si ritaglia uno spazio tutto suo, dato che non è qualcosa di già visto, è come un’onda improvvisa che increspa felicemente la superficie di un’acqua stantia.
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