“Figura eccedente quella dello scrittore quanto quella del filosofo, amico di Beckett e Ionesco, Emil Cioran ha avuto (goduto?) una vita da esiliato, fuggendo in Francia nel 1936 e mai più ritornando in quella patria rumena nella cui “pochezza” per lungo tempo rifiutò di riconoscersi.”
Figura eccedente quella dello scrittore quanto quella del filosofo, già a vent’anni autore di un Sur le cimes du désespoir (Al culmine della disperazione) che delineava con nettezza un punto di vista esistenziale in cui l’inutilità della vita emerge già palesemente tra le miserie del quotidiano e le macerie di glorie passate, Emil Cioran ha avuto (goduto?) una vita da esiliato, fuggendo in Francia nel 1936 e mai più ritornando in quella patria rumena nella cui “pochezza” per lungo tempo rifiutò di riconoscersi.
Sottrattosi sempre al circo mediatico, con l’orgoglio e la fermezza di chi “non partecipa a niente”, di Cioran ci resta un’unica testimonianza filmica, un documentario-intervista girato pochi mesi prima della morte dello stesso, nel 1995, dai due giovani registi romeni (Gabriel Liiceanu e Sorin Iliesiu) investiti di tale unico compito, avvicinarsi e “ritrarre”colui che si era sempre negato, colui che aveva sempre scelto di rifiutare i premi che il mondo parigino delle lettere gli aveva conferito (mantenendo la coerenza di chi affermava: come può, chi ha scritto un testo intitolato L’inconveniente d’essere nato, ritirare un premio e dunque accettare lo stato di cose prima fermamente negato?!).
Tra le meditate esitazioni di una lingua abbandonata cinquanta anni prima, inquadrato con rispetto, riverenza e una certa timidezza nella piccola abitazione del quartiere latino di Parigi – traboccante di libri e spoglia di tutto il resto – , Cioran ritorna a occuparsi del suo passato, raccontando della sua infanzia e di come, inconsciamente, fu proprio in quegli anni – di cui si rammaricherà l’esser stati “troppo normali” – che nacque la sua ossessione per la morte (abitando vicino ad un becchino, si faceva da questi regalare dei teschi con i quali giocare). Precocemente interessato alla filosofia, la sua formazione e de-formazione fu quella del divoratore di libri, presto trasformatasi in una terapeutica inclinazione alla scrittura, unica via possibile, a suo parere, per lottare contro l’ossessione della fine e contro quell’insonnia che prima dei diciott’anni era già arrivata a funestar le sue notti e qualsivoglia serenità.
Interpolando alle parole di Cioran (e alle sue marginali deambulazioni tra i viali parigini) una difficile ricostruzione biografica, fatta di ritagli di giornale, di foto d’epoca, di filmati di una Bucarest anteguerra (quel fertile ambiente intellettuale dal quale sono passati Ionesco, Eliade, il pittore Victor Brauner, etc.), coinvolgendo il fratello e gli amici superstiti e modellando con voce fuori campo questa figura unica di pensatore novecentesco, il lavoro dei due rumeni (programmato come parte iniziale di un progetto la cui seconda parte non ha mai visto la luce), ci restituisce frammenti di un pensiero angosciato e in rivolta, facendoci piombare nella terribile apocalittica lucidità di uno sguardo che, anche nei pressi della morte, era in grado di bruciare per intensità e accanimento chi guardava.