Satantango esalta tutte le possibilità del mezzo, con una ricerca visiva al servizio della descrizione e reinvenzione della realtà, con i pianisequenza, le carrellate, i primi piani e i campi lunghi, le sospensioni, gli incastri e ricorsi cronologici. Lo sguardo ipnotico del regista crea un mondo in cui immergersi e lasciarsi guidare
Satantango(Sátántangó) è un film del 1994 diretto dal regista ungherese Béla Tarr. Coprodotto con Svizzera e Germania, anche se girato interamente in Ungheria, è in bianco e nero e ha una durata di oltre 7 ore. La storia è basata sul romanzo Sátántangódello scrittore ungherese László Krasznahorkai, che nel corso degli anni ha fornito al regista Béla Tarr già numerose storie, a partire dal 1988 con il celebre Kárhozat (Perdizione). Tarr voleva girare Satantango sin dal 1985 ma fu impossibilitato nella realizzazione a causa della situazione politica che a quei tempi l’Ungheria presentava. Richiese 120 giorni di riprese ad un costo complessivo di soli 1,5 milioni di dollari.
Satantango: La trama
Il film è completamente ambientato nella sconfinata pianura ungherese dove, sotto una costante pioggia battente, un’umanità disperata si contende gli ultimi brandelli di consapevolezza. Alla fine gli uomini verranno ingannati da un falso messia e si ritroveranno al punto di partenza. Opera estrema e terribile, la pellicola è un omaggio ossessivo alla fine del nostro millennio. Un superbo bianco e nero, la piattezza della pianura magiara, scene in tempo reale (un ballo di mezz’ora, piani-sequenza di 10 minuti) e una durata complessiva di sei ore e mezza. Ipnotico.
Béla Tarr:
“Non potevamo iniziare il film se prima non fosse cambiato il clima politico. Sono partito dall’Ungheria subito dopo Perdizione e ho vissuto a Berlino per oltre un anno. E lì ho assistito alla caduta del Muro”.
“Io non mi sono mai ritenuto un regista: pensavo che la mia unica missione fosse cambiare il mondo. Oggi come oggi mi accontenterei anche solo di riuscire a cambiare il linguaggio cinematografico. Certo, anche il cinema fa parte del mondo e ciò che faccio mi riesce bene, ma sarebbe difficile affermare che questo ha cambiato il mondo in qualche modo. Ma si può sempre contare sulla sensibilità della gente, che non è meschina per sua natura: pecca solo quando le circostanze la obbligano a farlo.”
Satantango: La recensione
Satantango è uno degli ultimi “classici” d’autore, come possono esserlo i film di Tarkovskij o di Bergman, opere senza tempo e senza luogo che dimostrano quanto il cinema possa essere enorme e quanto importante per lo spettatore.Satantango esalta tutte le possibilità del mezzo, con una ricerca visiva al servizio della descrizione e reinvenzione della realtà, con i pianisequenza, le carrellate, i primi piani e i campi lunghi, le sospensioni, gli incastri e ricorsi cronologici. Lo sguardo ipnotico del regista crea un mondo in cui immergersi e lasciarsi guidare, evita di dare un centro alla propria ricerca senza per questo rinunciare a raccontare delle storie. Le scene, in un bianco e nero dalla accuratezza fotografica, sono spesso lunghe diversi minuti, senza stacchi di montaggio: la macchina da presa si allontana dal soggetto umano per andare a cercare la pioggia, il muro scrostato, il campo vuoto, il dettaglio di un cuscino. Quel che vediamo in Satantango non è mai semplicemente un oggetto o una persona, ma un oggetto o una persona indagati dallo sguardo della camera; che ruota attorno a loro, penetra nei pensieri e nelle espressioni di un volto ricordandoci che ciò che è manifesto ed esplicito è solo una frazione di quel che dobbiamo cercare.