Silence (2017) è attualmente disponibile su RaiPlay.
La recensione
XVII secolo.
Padre Sebastian Rodriguez e Padre Francisco Garupe sono due giovani missionari portoghesi.
Si recano in Giappone per esercitare il loro ministero tra gli abitanti di un villaggio perseguitati per il loro credo religioso cristiano e per cercare il loro insegnante e mentore scomparso, padre Christovao Ferreira, il gesuita che secondo molti avrebbe abiurato in favore del buddismo. L’incredulità dei due giovani rispetto alla notizia li condurrà ad inoltrarsi in un Giappone nel quale i signori feudali e i Samurai erano determinati a sradicare il cristianesimo dal paese sottoponendo a torture, apostasia e abiura tutti coloro che erano considerati cristiani fino ad indurli ad una morte lenta e dolorosa.
I due giovani allievi gesuiti si troveranno a vivere un realtà estremamente crudele sia per la loro sopravvivenza che per la dura prova alla quale devono sottoporre il loro credo, mentre il Silenzio di Dio si fa assordante.
Tutto accade agli inizi del periodo Edo: mentre i primi missionari erano arrivati circa cento anni prima durante il periodo Sendoku, quando i cristiani erano ancora stati accolti bene, durante il periodo Togukawa lo shogunato iniziò a consolidare il proprio potere e a unificare il Giappone, pertanto i missionari europei inizieranno ad essere percepiti come una minaccia, ed un editto di espulsione del 1614 li costringerà alla clandestinità.
Un saggio filmico tratto da un romanzo
Il romanzo di Shusaku Endo, un autore giapponese cristiano, dal quale è tratto questo film, è oggetto di analisi e dibattiti fin dalla sua prima uscita del 1966, in quanto descrive in modo estremamente efficace “il conflitto tra una professione di fede, la sua espressione e l’apparente silenzio di Dio mentre i credenti sono trascinati nella violenza in suo nome”.
Martin Scorsese si è lasciato sedurre da questo scritto ed ha messo al lavoro una squadra di ricercatori e tecnici che potessero realizzare il progetto di un’opera cosi ambiziosa. Tra torture, crocifissioni, intemperie e condizioni geografiche impervie, Silence racconta una storia di fede e religione, a rappresentare un saggio filmico esaminando il problema spirituale del silenzio di Dio di fronte alle sofferenze umane.
Il tempo e lo spazio del film sono condizionati dal bisogno di mostrare e spiegare l’idea: un cinema, il suo, capace di riprodurre la complessità del pensiero nel rispetto della piena libertà espressiva, usando la macchina da presa come una penna, una sorta di letteratura cinematografica capace di esprimere il pensiero in modo versatile ed efficace.
Un saggio filmico al tempo stesso storico, politico, religioso nel quale traspare senza esitazioni la visione del cineasta, soprattutto quando padre Sebastian si ostina a parlare di verità cristiana assurgendola al livello di una verità assoluta.
Il filo conduttore del pensiero non procede in una singola direzione: la dialettica tra finzione e non lo rende un cinema di riflessione pura nella quale l’argomento si fa base di una costruzione intellettuale capace di generare la forma complessiva e persino la struttura del film senza che questo venga snaturato e distorto.
Il silenzio di Dio
Una testimonianza sociale, un uso politico-religioso del medium che fa cogliere l’impegnativo desiderio di Silence di raggiungere un’audience incarnata, di comunicare direttamente con lo spettatore di coinvolgerlo nella creazione del significato filmico e di superare in questo modo le inevitabili ristrettezze di un dispositivo.
Lo spettatore si sente interpellato perché il regista esce allo scoperto, ammette la propria parzialità e volontariamente mina la propria autorità assumendo un punto di vista contingente e personale.
Una presa di coscienza politica autentica e nuova, un atto di fiducia per il mezzo espressivo e per l’interlocutore/spettatore.
Il tema filosofico del dubbio e del paradosso kierkegaardiano sono strettissimi nelle parole di Scorsese, che ritiene estremamente doloroso e paradossale credere e dubitare, concetti che sembrano antitetici ma che vanno di pari passo, nutrendosi l’un l’altro dalla certezza al dubbio, alla solitudine,alla comunione.
Il mistero di Dio sta nel silenzio e nel paradosso dei suoi dettami, spesso in conflitto con l’etica come ci ricorda Kierdegaard attraverso la figura di Abramo.
“Credere in un solo Dio” può consentire la scelta dell’abiura se in gioco c’è la sopravvivenza di uomini condannati a torture e a morte?
Il silenzio di Dio è forse lo spazio lasciato agli uomini per compiere la scelta: credere nonostante tutto o non credere.
Come ci ricorda il filosofo danese Kierkegaard la fede è assurdità, paradosso e scandalo e porta l’uomo al di là della ragione, al di là di ogni possibile comprensione.
Ma la fede crede nonostante tutto quindi: Silence!
Beatrice Bianchini