Giunta al quarto capitolo di un filone che ha saputo sfruttare un intelligente spunto di partenza, la saga di Final Destination si rinnova col 3D senza modificare di una virgola struttura e narrazione, nonostante l’alternanza alla regia dei vari film fra James Wong e David R. Ellis. Quest’ultimo sequel diretto da Ellis, riprende pari pari il percorso già tracciato dal capostipite, con una sequenza iniziale di impatto — un disastro sportivo durante una corsa di macchine — che il protagonista Nick (Bobby Campo) ‘prevede’, salvando quindi da morte certa i suoi amici e alcuni spettatori. Successivamente, abbiamo la consueta sequela di uccisioni accidentali, nelle quali in realtà la Morte ha messo lo zampino per ripristinare il corso degli eventi alterato dal ragazzo. E in ultimo, con qualche ritardo, la resa dei conti finale a mozzare in gola i festeggiamenti per lo scampato pericolo.
Proprio come nel primo film, la parte iniziale rappresenta il piatto forte di questo innocente popcorn movie d’altri tempi, che non perde tempo in riflessioni complicate sul destino dell’umanità o sull’inesorabilità della sorte, e si limita a imbastire complicati meccanismi splatter per sbarazzarsi uno a uno dei sopravvissuti al disastro di partenza. L’unica volta in cui la sceneggiatura si sofferma troppo a lungo sul vissuto precedente di uno dei personaggi principali — che rievoca commosso un tragico episodio del suo passato — si avverte palesemente una breve stonatura, che rientra non appena il pallino torna in mano alle sequenze d’azione. In fondo chiunque abbia visto almeno uno dei precedenti Final Destination è perfettamente al corrente delle dinamiche narrative e delle regole del gioco. A patto però che non si diventi troppo ripetitivi: e il rischio è sapientemente evitato riducendo all’osso il minutaggio della pellicola, cosicché dopo un’ora e venti tutto è felicemente concluso.
Naturalmente alla fine non resta nulla. Il primo film della quadrilogia, datato 2000, aveva saputo stupire e soprattutto spaventare, quantomeno nella prima, agghiacciante esperienza dello scampato incidente aereo. L’intreccio poi svoltava verso un teen movie ben girato con sequenze horror, senza eccessivo sbilanciamento verso il sanguinolento. La pellicola di Ellis si accontenta di architettare esplosioni e macellare corpi umani con una leggerezza che strappa sorrisi e qualche smorfia di disgusto, ma non fa mai trattenere il fiato. Sfrutta in maniera egregia l’effetto 3D, finalmente integrato alla messa in scena, ma disegna personaggi insignificanti e vagamente antipatici — il che è forse propedeutico alla gioia che scaturisce nel vederli morire. Insomma, un film di cui si poteva largamente fare a meno, ma che se si è amanti del genere, spogli da troppe pretese, non ci si pentirà di essere andati a vedere.
Gianluca Wayne Palazzo
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