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Sinister riscopre in dvd un nuovo trittico di fantascienza, tra grandi nomi e spettacolarità

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Immaginate che un laboratorio subacqueo finisca inghiottito da un crepaccio in seguito ad un terremoto e che l’ossigeno a disposizione possa risultare sufficiente ai suoi tre occupanti per una settimana soltanto.

Con un normale sottomarino che fallisce nel tentativo di salvare i poveri malcapitati, prende il via da questa semplicissima idea L’odissea del Neptune nell’impero sommerso (1973), diretto da Daniel Petrie su sceneggiatura dello stesso Jack DeWitt che scrisse, tra gli altri, Un uomo chiamato cavallo (1970) di Elliot Silverstein e il suo sequel La vendetta dell’uomo chiamato cavallo (1976) di Irvin Kershner.

Un’avventura ambientata nelle profondità marine e che, con la già citata missione di salvataggio affidata agli uomini del batiscafo canadese denominato Neptune, rappresenta, senza alcun dubbio, un vero e proprio oggetto del desiderio per tutti gli amanti di una determinata cinematografia dal cast all star che fu.

Perché, tra anguille giganti in agguato, inevitabile sottotrama di taglio sentimentale e, soprattutto, splendide immagini subacquee, accanto a BenIl camorristaGazzara ed alla Yvette Mimieux de L’uomo che visse nel futuro (1960) sono il due volte candidato al premio Oscar Walter Pidgeon e l’Ernest Borgnine aggiudicatosi l’ambita statuetta grazie a Marty – Vita di un timido (1955) a popolare la oltre ora e mezza di visione che Sinister Film provvede a recuperare su supporto dvd con galleria fotografica, spot tv e trailer nella sezione riservata ai contenuti speciali.

meteor

La stessa Sinister Film che, sempre per quanto riguarda fanta-produzioni impreziosite da ricco comparto attoriale, ristampa per il mercato dell’home video digitale Meteor (1979) di Ronald Neame, praticamente precursore di disaster movie di fine XX secolo quali Deep impact (1998) di Mimi Leder e Armageddon – Giudizio finale (1998) di Michael Bay.

Infatti, ispirato ad un autentico rapporto del MIT chiamato Progetto Icaro e introdotto da titoli di testa chiaramente debitori nei confronti di Superman (1978) di Richard Donner, vede Martin Landau, Natalie Wood e Karl Malden al fianco di uno Sean Connery nei panni del dottor Paul Bradley, costretto a lasciare la regata a vela a cui sta partecipando per raggiungere gli uffici del suo ex capo a causa di un incidente appena verificatosi: una cometa è entrata in collisione con l’asteroide Orfeo, riducendolo in pezzi e facendo sì che uno dei frammenti abbia distrutto la navicella con a bordo tre astronauti in orbita intorno a Giove.

Frammento che, di conseguenza, pare si stia dirigendo proprio verso la Terra, mettendola in serissimo pericolo e generando non poco scompiglio prima che i protagonisti riescano nell’impresa di trovare una soluzione al problema ed evitare la devastazione totale.

Fino al momento in cui la lunga attesa nei confronti della spettacolarità viene ricompensata da un’ultima parte dispensatrice di colossali catastrofi a base di crolli di edifici ed alluvioni spazza-tutto che fanno la felicità di chi, da sempre, segue il filone caro a Terremoto (1974) di Mark Robson, ma anche ad Asteroid vs Earth (2014) di Christopher Ray.

luomo-terminale  

Il solo trailer a rappresentarne gli extra, come pure per L’uomo terminale (1974), altra riscoperta sinisteriana su disco, in questo caso diretta dal Mike Hodges autore di Flash Gordon (1980), nonché elegante trasposizione in fotogrammi di un romanzo di Michael Crichton.

Fornita di un’estetica cyber-punk che guarda evidentemente all’intramontabile Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick, la assurda vicenda del tecnico elettronico – ed entusiasta costruttore di robot – Benson, il quale, incarnato da un George Segal perfettamente calato nel ruolo, prima viene colpito da una malattia al cervello che arriva a renderlo improvvisamente aggressivo e pericoloso, poi si sottopone ad un’operazione chirurgica sperimentale – mirata ad ovviare il problema – durante la quale si ritrova impiantati alcuni elettrodi.

Un’elettrostimolazione che, però, sortisce a quanto pare un effetto contrario rispetto a quello cercato, tanto che le crisi diventano sempre più frequenti, trascinandolo in un vero e proprio involucro di pazzia.

Man mano che i cento minuti totali vengono costruiti attraverso lenti ritmi di narrazione e che non solo l’ultima mezz’ora tende a sfiorare l’horror tirando in ballo qualche morto e una spruzzata di splatter, ma, proprio come nel menzionato capolavoro della Settima arte interpretato da Malcolm McDowell, è una colonna sonora a base di musica classica (qui le trenta variazioni dell’Aria composta da Johann Sebastian Bach) a generare l’indispensabile contrasto con la furia scatenata di cui è preda Benson.  

Francesco Lomuscio

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