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Lo spettacolare Viy – La maschera del demonio porta Gogol nell’universo del 3D

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Con un giovane prete impegnato a sorvegliare il corpo morto di una strega nel corso di tre lunghissime notti Viy di Konstantin Yershov e Georgi Kropachyov, del 1967, vantò il merito di essere il primo film horror realizzato in URSS nell’era del Soviet, tratto dallo stesso omonimo racconto scritto tramite cui Nikolaj Vasil’evic Gogol’ introdusse una creatura sovrannaturale appartenente all’immaginario popolare dei Paesi dell’Est e identificabile in una sorta di re degli gnomi.

Racconto da cui non solo Djordje Kadijevic ha poi ricavato nella Yugoslavia del 1990 l’erotico-morboso Sveto mesto, ma, già trent’anni prima il maestro del terrore nostrano Mario Bava aveva attinto per concretizzare il mitico La maschera del demonio, poi rifatto per il piccolo schermo – ma trasmesso in pochissime occasioni – dal figlio Lamberto nel 1989.

Racconto da cui, con l’avvicinarsi della ricorrenza del bicentenario della nascita dello scrittore, che sarebbe stato nel 2009, il produttore Alexey Petrukhin e il regista Oleg Stepchenko hanno pensato bene di derivare Viy – La maschera del demonio, datato 2014 e ispirato anche alla figura storica di Guillaume Le Vasseur de Beauplan, cartografo francese cui spettò il merito di aver mappato il territorio e studiato usi, costumi e culture delle popolazioni dell’Ucraina.

Del resto, con le fattezze del Jason Flemyng de Il curioso caso di Benjamin Button, ne è protagonista nel XVIII secolo proprio un cartografo alle prese con un viaggio scientifico che lo sta portando dall’Europa continentale verso est e che, dopo aver attraversato la Transilvania e i Carpazi, si perde nella nebbia per ritrovarsi in un piccolo villaggio nel cuore dei boschi.

Villaggio i cui abitanti hanno scavato un profondo fossato al fine di dividere il centro abitato dalle minacce del mondo esterno; senza immaginare, però, che lo stesso male da cui pensano di essere al sicuro si è già annidato nelle loro anime, aspettando soltanto il momento giusto per rivelarsi.

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E, con il Charles Dance della serie televisiva Il trono di spade tra gli attori, è una volta superata l’apertura dal sapore ironico non lontano da quello di una commedia sexy che ci si immerge in atmosfere cupe pronte a popolarsi di fauna infernale spaziante da esserini svolazzanti a mostri tentacolati non distanti da quelli partoriti dalla penna di Howard Phillips Lovecraft.

Ma, se è possibile avvertire tra un fotogramma e l’altro una certa influenza sia da parte de L’armata delle tenebre di Sam Raimi che de Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton, appare evidente che l’intenzione degli artefici della oltre ora e cinquanta di visione – girata con il sistema Real 3D Stereotec inventato dall’omonima società di Monaco e collaudato con successo in Hansel e Gretel – Cacciatori di streghe – fosse quella di mettere in piedi un lungometraggio fantastico-avventuroso con componenti orrorifiche capace di riallacciarsi, al contempo, al respiro da kolossal delle opere di Timur Bekmambetov (responsabile de I guardiani della notte e La leggenda del cacciatore di vampiri, per intenderci).

Respiro che, tra una frenetica corsa a bordo di una carrozza in fiamme nel bel mezzo della foresta, una bara pronta a levitare e gironzolare sospesa in aria e attacchi da parte di lupi cadaverici, non manca, infatti, di emergere durante lo svolgimento della spettacolare e visivamente curata operazione, pullulante di effettistica digitale.

Operazione che, costata ventisei milioni di dollari e rivelatasi uno dei più grandi successi russi incassandone nella sola patria cinquantuno e trentanove nel mondo, è Koch Media a rendere disponibile in limited edition su supporto blu-ray italiano nelle propria collana Midnight Factory, riservata al cinema fantasy e dell’orrore.

Supporto che, racchiuso in custodia amaray inserita in slipcase cartonato e accompagnato da un interessante booklet, non solo offre il trailer, ventinove minuti di making of, quattro di backstage e tre di intervista al citato Flemyng, ma dispensa il film sia nella versione standars che in quella 3D, in modo tale lo spettatore possa godere pienamente dell’impressione che le asce e la variegata oggettistica lanciata contro la macchina da presa arrivino direttamente nei suoi occhi… nell’attesa che termini la lavorazione del sequel Viy 2: Journey to China, con Jackie Chan incluso nel cast, e che prenda forma anche il già annunciato terzo capitolo, a quanto pare ambientato in India.

Francesco Lomuscio

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