FESTIVAL DI CINEMA

IX Visioni Fuori Raccordo: Triokala di Leandro Picarella

Il tema principale di Triokala è l’incontro fra un mondo arcaico, dalla forte memoria cinematografica ed uno moderno, che minaccia lentamente la ruralità del piccolo paesino e si sostituisce al passato. Per questo motivo, lo sguardo autoriale ricerca le tracce di una realtà già parzialmente estinta, raccogliendo con parsimonia narrativa tutte le espressioni del magico o del sacro

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«La prima inquadratura è un test» come ci annuncia Leandro Picarella, autore di Triokala. Una prova che assume il valore di una dichiarazione d’intenti o di un’ultima opportunità per abbandonarsi alla visione. Lo conferma la sequenza di apertura, tutta dedicata alla natura, rappresentata nelle sue micro e macro forme di esistenza. Rami ricurvi, alberi colpiti dai funghi, i ruscelli e i cieli nuvolosi dalle mille forme sono ripresi con uno studio coscienzioso della messa inquadro, che ne esalta la bellezza drammatica. La loro presenza cinematografica dà l’impressione di un qualcosa a metà fra la vita e la morte, che continua ad esistere secolo dopo secolo.

Arriviamo nelle campagne siciliane, durante la raccolta degli ulivi. Alcuni anziani falciano e raccolgono i rami, mentre un bambino gioca spensierato poco distante. Tutto è perfettamente integrato in un canone rappresentativo che attinge all’immaginario visivo e culturale di De Seta o De Martino. Finché non vediamo Paolo, un ragazzo ventenne che esegue lo stesso lavoro del Padre, ma con alcune differenze: indossa una tuta della Asics e porta un orecchino. Il collegamento con il passato si spezza e subito quelle immagini vengono “relinkate” ad un tempo presente, alla contemporaneità. L’effetto è straniante e la presentazione del ragazzo è il primo elemento di rottura con un modello rappresentativo della ruralità e del meridione fortemente influenzato dal filone di studio etno-antropologico. Carpitella e i già citati De Seta e De Martino sono allo stesso tempo una chiara fonte di ispirazione, come si evince da determinate inquadrature che ricordano i loro tableaux vivants rappresentativi, ma allo stesso tempo sono il passato da superare, in quanto anacronistico e quindi “gabbia” artistica.

Il documentario ha come protagonista Caltabellota, un piccolo comune in provincia di Agrigento, e i suoi abitanti, fra cui spiccano tre personaggi principali: c’è il giovane Paolo, Zio Emanuele, un anziano del luogo che ha particolari capacità “sciamaniche”, e un lavoratore straniero dai lineamenti orientali di cui non sapremo mai il nome. «Più che un documentario, lo considero una forma ibrida, un esperimento a metà fra realtà e finzione» così descrive il film Picarella, sintetizzando in una sola frase gli elementi principali di Triokala. In effetti nel documentario è presente un filo di trama che collega i tre protagonisti di cui sopra; tuttavia questo embrione di fiction è immerso in un accurato lavoro di documentazione della vita all’interno di Caltabellotta, andando alla ricerca di tutte quelle immagini e quelle visioni che possono raccontare l’anima della città. Il tema principale di Triokala infatti è l’incontro fra un mondo arcaico, dalla forte memoria cinematografica ed uno moderno, che minaccia lentamente la ruralità del piccolo paesino e si sostituisce al passato. Per questo motivo, lo sguardo autoriale ricerca le tracce di una realtà già parzialmente estinta, raccogliendo con parsimonia narrativa tutte le espressioni del magico o del sacro. A tal proposito il ritmo del film procede a fasi alterne fra sequenze di rapido sviluppo e momenti di lunga contemplazione o attesa. Emblematica è la sequenza del rito sciamanico-curativo che Zio Emanuele pratica a Paolo, dove lo sguardo registico, attraverso un ottimo lavoro di fotografia e montaggio, riesce a restituire l’essenza di concetti complessi quali la fede, il dubbio, la tradizione e la ritualità. Proprio quest’ultimo punto, fa pensare che Triokala sia una finestra su un mondo appeso nella sua precarietà e sospeso nel tempo, dove si leggono chiaramente i segni del cambiamento sociale, ma è ancora forte il bisogno di scandire la propria vita attraverso le formule rituali.

Un discorso a parte va dedicato alla Fotografia e al Suono. Il primo in relazione alle atmosfere che descrivono la città di Caltabellotta e alla sua continua presenza, il secondo relativamente al leitmotiv che accompagna la narrazione. In ogni sequenza il paesino siciliano è sempre diverso: alle volte è cupo e coperto dalla nebbia, in altre radioso e investito dai colori della campagna o ancora sembra caricarsi di una strana malinconia. La Fotografia di Andrea José di Pasquale riesce a sfumare il volto della città e quindi a restituircela viva e pulsante, come una creatura in evoluzione. Ecco perché Caltabellota è presente nella maggior parte delle inquadrature, tanto da rilegare in casi particolari i protagonisti ai margini del campo. «Triokala è il primo film di una trilogia sul vento sacro ed era necessario trovare una colonna sonora naturale che desse al film una connotazione specifica», così Picarella ci spiega il lavoro accurato di scelta dei suoni presenti nella sua opera, tutti ripresi dalle campagne e dai boschi intorno al paesino. Il fischio del vento, catturato in presa diretta in un punto specifico fra i colli e le montagne siciliane, s’impone come motivo ricorrente della narrazione, diventandone di fatto l’unica colonna sonora. Una specie di voce ancestrale del luogo senza tempo.

Alla fine del film, la domanda sorge spontanea: quale sarà l’esito dell’incontro-scontro fra l’arcaico e il contemporaneo? Leandro Picarella parla di un conflitto alle battute finali. Un mutamento antropologico in fase di conferma e stabilizzazione che ha rigettato fuori gli scarti del mondo antico. «Una specie di canto del cigno», senza pessimismi, né realismi, solo testimonianze.

Emanuele Paragallo

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