Non ci dilungheremo in questa sede a celebrare – ce n’è bisogno? – la brillante carriera di Gianfranco Barra, poliedrico e versatile attore che ha attraversato in lungo e in largo il cinema italiano, dall’esordio ne Il medico della Mutua (1968) di Luigi Zampa con Alberto Sordi fino alla fitta attività televisiva degli ultimi tempi, senza contare il ruolo di valentissimo interprete a teatro, dove ha lavorato con i più grandi, uno fra tutti Giorgio Albertazzi. Barra non deve dimostrare più nulla, ha dato tantissimo al pubblico italiano, la sua faccia è impressa indelebilmente nella memoria degli spettatori, così come la sua voce, calda, ferma, sempre espressiva; i suoi celebri duetti con i mostri sacri della settima arte permettono di conferirgli, senza dubbio di esagerare, il titolo di maestro, guadagnato in quasi cinquant’anni di ininterrotta attività.
Veniamo al presente: Gianfranco Barra decide di mettersi, per la prima volta, dietro la macchina da presa, per realizzare un cortometraggio intimista, in cui, sfruttando ancora una volta le sue inimitabili doti attoriali, mette in scena un piccolo/grande psicodramma, laddove il protagonista, lo stesso Barra-attore alle prese con un bilancio della vita professionale e non, vive una pericolosa ma provvidenziale scissione, che lo induce a ripensare fino in fondo il suo ruolo d’artista, a riconsiderare la ‘missione’ dell’attore, il quale fa del rapporto con il pubblico un punto decisivo, giacché, superato il livello di narcisismo (o egoismo) sottostante alla logica dell’esibizione, ciò che davvero rimane è la gioia di donarsi senza riserve, mettendosi da parte, scomparendo quasi, come solo i grandi sanno fare.
Il cortometraggio, Anno nuovo, vita nuova, parte dalle suggestioni provocate da un manifesto che campeggia, come un ‘catafalco’ – così Barra si auto-sbeffeggia – nel salotto di casa del protagonista. Si tratta della locandina del celebre Avanti! (in italiano diventò Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?, 1972) di Billy Wilder, raffinata e divertentissima commedia in cui Barra ricopriva il ruolo del maggiordomo dell’albergo in cui risiedeva Jack Lemmon, alla disperata ricerca della salma del padre, tra incidenti a ripetizione e spassosissime situazioni. Nella versione originale (non doppiata in italiano) Barra duettava magnificamente in inglese con Lemmon, rivelandosi un fuori classe che non aveva alcun complesso neanche davanti a un gigante come il celebre attore americano.
Una compagnia di giovani attori ha adattato per il teatro la pellicola di Wilder, invitando Barra a partecipare alla prima, oltre a chiedergli di rilasciare un’intervista all’interno di un incontro collettivo. Uno dei due Barra non sa resistere all’allettante richiamo, mentre l’altro lo esorta ad evitare di concedere un’esibizione che non aggiungerebbe nulla. Nasce tra i due un alterco, ma il Barra più estroverso la spunta e, incurante degli ammonimenti del suo doppio, accetta la richiesta del gruppo. Al suo ritorno farà i conti con il passato (rievocato dal Barra più riflessivo), con quell’irripetibile esperienza della recita, tenutasi molti anni prima davanti al pontefice Giovanni Paolo II, del sacrificio di S. Massimiliano, il martire che s’immolò per salvare la vita di un deportato all’interno di un campo di concentramento. L’elaborazione di quel prezioso ricordo produce una presa di coscienza che permette la realizzazione di una sintesi, alla luce della quale Barra torna ad essere uno, avendo felicemente fuso assieme le celebrazioni per i successi ottenuti e il passato inteso come esperienza di maturità.
Gianfranco Barra è un indiscusso mattatore, regge da solo tutto il cortometraggio, che si dipana in fitti dialoghi (il film è scritto e diretto dallo stesso Barra), da cui emerge la profondità della riflessione posta e la statura di un attore che non smette di produrre una sorta di incantamento in chi ascolta. Si è quasi accarezzati dalla soavità del suo timbro caldo, della dizione netta, precisa, sicura: un fiume di parole scorre senza incertezze, con un ritmo che accompagna fino al felice epilogo lo spettatore, senza stancarlo, quasi cullandolo. Alla fine il botta e risposta tra i due Barra lascia spazio ad un felice monologo, in cui la memoria ritorna nel luogo di quel fatto accaduto molto tempo prima, e che ha segnato significativamente un’intera carriera. Il film si chiude con un’inquadratura spogliata del protagonista, in cui le luci fioche di un albero di Natale presagiscono un futuro più dolce e privo di contrasti.
Ci piace constatare che Gianfranco Barra abbia esordito nell’inedita veste di regista, e, considerati i buoni risultati ottenuti, non senza sacrifici, auspichiamo che la nuova esperienza possa costituire l’inizio di un percorso, attraverso cui dare espressione all’anima meno nota al grande pubblico, che certo non mancherà di apprezzarlo ancora, seguirlo, applaudirlo.
Luca Biscontini