Sinossi: I Tucci sono una famiglia povera di un paesino nel Lazio. Padre (Christian De Sica), madre (Lucia Ocone), una figlia oca e uno invece assai intelligente. Con loro vivono anche il cognato (Enrico Brignano), un botanico senza un soldo che ama creare nuove specie di frutta e verdura; infine la nonna (Anna Mazzamauro), patita di serie TV. Un giorno accade qualcosa di incredibile: i Tucci vincono cento milioni di euro! Sull’onda dell’emozione decidono di tenere nascosta la vincita, per evitare la gelosia dei compaesani. Tuttavia, mantenere un segreto così ingombrante è troppo difficile. Quindi, questa allegra e ruspante famiglia decide di stabilirsi nella arrogante e ricca Milano, forse il luogo meno adeguato a tollerarne la veracità romana, quando la frittura diviene un rito quasi sacrale.
Recensione: Per chi studia il cinema, confrontarsi con un cosiddetto “cinepanettone” è sempre stato considerato quasi offensivo, poiché tali pellicole vengono giudicate come il peggio di quello che ha prodotto sinora la Settima Arte in Italia. Spinti dalla curiosità di un titolo che riecheggia il mitico Poveri ma belli (1957) del maestro Dino Risi e dalla sfida di cimentarsi per una volta con questo rozzo genere cinematografico, abbiamo deciso di assistere alla anteprima stampa di Poveri ma ricchi. Siamo rimasti colpiti da un qualcosa che non ci aspettavamo dal “peggio del peggio”: la pellicola di Fausto Brizzi fin dai primi minuti palesa alcuni chiari rimandi alla commedia francese, segnatamente nella scena iniziale, come pure in quella finale, strizzando l’occhio a quella inclinazione dei registi transalpini nel raccontare delle favole moderne, che trovano il loro manifesto ne Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet. Sfortunatamente, tutto quello che avremmo voluto dire sulla originalità di Poveri ma ricchi non lo possiamo fare, visto che intendiamo “punire” produzione e autori. Il motivo? Trattasi di un remake! Infatti, il film è la copia de Les Tuche (2011) di Olivier Baroux, ecco spiegato quel gusto a tratti francese in alcune scelte stilistiche da parte di Brizzi. Già tolleriamo assai poco la riproposizione delle pellicole del passato, adattate in chiave moderna; figuriamoci nel caso di una girata soltanto nel 2011; il tutto sa troppo di furberia per far quattrini. Sia chiaro, i “cinepanettoni” proprio a questo servono, guadagnare, ma che almeno ci si metta un po’ di impegno nel creare una storia originale.
Quello che possiamo limitarci a fare è rispettare il lettore, colui che magari vuole da noi un’opinione, così da decidere se valga la pena di spendere i soldi del biglietto. Per tale motivo, diciamo che se si vuole ridere di gusto, Poveri ma ricchi non deluderà. È una trama certamente scontata, ma divertente e non stupida, purtroppo il merito nell’essere intelligentemente “idiota” non va tributato alla versione italiana, giacché copiare, diversamente da quanto avviene al botteghino, artisticamente non paga e, scusateci un po’ di inusuale italico sciovinismo, noi dai francesi non abbiamo nulla da imparare, specialmente quando si tratta della commedia. Se si cita un grande come Risi, che ha fatto scuola pure in terra gallica, portando il vessillo del nostro cinema ai massimi livelli nel mondo, si abbia per favore almeno la buona creanza della novità.
Senza dubbio, questo è un film scoppiettante, allegro, ben girato e recitato. Se è sufficiente sapere questo, bene, il pubblico non deve appesantirsi con riflessioni ulteriori, ma amare ciò che viene proiettato su quello schermo immaginario quando le luci si spengono in sala. Al critico spetta poi il compito di promuovere o bocciare. Lo studioso ha un’altra funzione, quella di portare avanti la disciplina scientifica e ragionare su come una determinata opera si inserisca nel panorama artistico, nel nostro caso quello cinematografico. Su questo non possiamo dire proprio nulla. Sarebbe serio parlare di una “copia”, quando ci si può confrontare con un originale che risale, inoltre, a pochissimi anni fa? La risposta è chiaramente no. Ragion per cui, l’analisi deve restare nulla, come lo è stata del resto la conferenza stampa, dove niente si è potuto dire. A Brizzi & Co. va comunque un plauso per l’ottimo adattamento in chiave italiana del film di Baroux.
Peccato davvero, giacché questa avrebbe potuto essere un’occasione per ragione sul “cinepanettone” come genere cinematografico tutto nostro, unico al mondo, malgrado la sua pessima qualità. Lo stesso in passato si è detto delle opere di Bruno Corbucci, le quali hanno reso immortale Tomas Milian; prima ancora si sono bistrattati gli Spaghetti Western, nonché la fantascienza e l’horror italiani, sminuendo il lascito di due brillanti cineasti come Antonio Margheriti e Mario Bava. Lo studio permette per l’appunto questo, l’analizzare e rivalutare i vari momenti della storia del cinema. Può darsi, benché non ne siamo troppo convinti, che arriverà anche il turno dei “cinepanettoni”. Di una cosa però siamo certi, se mai dovesse accadere, ciò sarà merito dei Fratelli Vanzina e di Neri Parenti e non di Fausto Brizzi che ha, con abilità, ripreso una storia non sua.
Riccardo Rosati