Shut In arriverà nelle sale italiane questo 7 dicembre. Per il suo debutto cinematografico Farren Blackburn, dopo le fortunate serie televisive (The Fades, Doctor Who, Daredevil e altri), sceglie di portare sul grande schermo un horror claustrofobico e minimale, tanto prevedibile quanto legato all’eredità dei grandi.
Sinossi: La due volte candidata all’Oscar Naomi Watts veste i panni di una psicologa infantile. La donna vive e lavora senza mai allontanarsi dalla sua casa, dove riceve a domicilio i suoi pazienti e soprattutto si occupa del figliastro diciottenne Stephen, ridotto in stato vegetativo dall’incidente stradale in cui è morto il marito Richard. Quando resta coinvolta nella misteriosa sparizione di uno dei suoi pazienti, il piccolo Tom, Mary comincia tuttavia a essere perseguitata da strani eventi che condurranno ad un’agghiacciante scoperta che lascerà tutti senza fiato.
Recensione: Shut In riprende alcune delle regole dell’horror e cerca di imparare dai grandi, finendo solo per creare un prodotto scadente e prevedibile. Sin dall’inizio si capisce dove andrà a parare la storia, che è tenuta insieme da un narrazione poco convincente e da una scrittura banale e noiosa. Invece che aspettare “Godot” qui si aspetta il nulla, il concetto di suspense viene così marcato da risultare infine fastidioso nello scorrimento del film.
Quello che doveva essere un colpo di scena non è altro che una trovata poco originale che porta il regista Farren Blackburn a rincorrere il vuoto della narrazione, finendo per tralasciare ogni struttura e logica registica. Musica alta, piccoli spaventi ed eterna suspense, questo è quello che troverete guardando Shut In. Il film, impossibile non fare il paragone, sembra proprio che voglia imparare dai grandi ma invece che omaggiarli ne scopiazza qua e là gli elementi, finendo per creare un prodotto altamente più basso rispetto agli standard prescelti. Uno dei grandi a cui pare che Shut In copi i movimenti sembra proprio essere Shining, ci sono tanti elementi simili all’interno della storia: la neve, una casa distante dalla civiltà, la pazzia famigliare e il fatto che sia un esterno a correre in soccorso della protagonista. Capiamo che non c’è niente di meglio di Kubrick per affrontare una tale sfida, ma scimmiottarne le trovate non sembra il modo migliore per raggiungere il risultato.
Nemmeno Naomi Watts può fare il miracolo, è lì che si barcamena all’interno di una narrazione soporifera, interpretando un personaggio costretto a fare sempre le stesse cose. Anche il resto dei personaggi sembrano un po’ di passaggio e poco incidenti in una storia che fa davvero acqua da tutte le parti. Peccato davvero, sembrava che Shut In volesse volare più in alto di quanto non ha realmente fatto. “Vieni a giocare con noi, Danny?” Tutti avremmo voluto sentire questa frase piuttosto che un’ora e mezza di noia mortale.
Alessandra Balla