Verhoeven torna a uno dei generi che ama di più e a una delle ossessioni ribadite sotto mille forme nella sua cinematografia: il noir (o meglio il neo noir) e la femme fatale
Sinossi
Michèle è una donna tutta d’un pezzo a capo di una compagnia di videogiochi, che ha sempre usato il pugno di ferro sia in ambito lavorativo che privato. La sua vita cambia inesorabilmente quando viene aggredita e violentata nella sua casa da uno sconosciuto con il passamontagna. Inizia così un’ossessiva indagine personale per scoprire l’identità del suo aggressore. Una ricerca che può degenerare da un momento all’altro
Recensione
A distanza di dieci anni dal suo ultimo film, quel Black Book che creò polemiche alla Mostra di Venezia (se non si vuole tener conto del mediometraggio Steekspel del 2012), il regista olandese Paul Verhoeven torna dietro la macchina da presa con Elle, presentato in concorso all’ultimo Festiva di Cannes e arrivato al 34 esimo Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile per la gioia degli spettatori festivalieri (in attesa che venga distribuito nelle sale italiane). Verhoeven torna a uno dei generi che ama di più e a una delle ossessioni ribadite sotto mille forme nella sua cinematografia: il noir (o meglio il neo noir) e la femme fatale.
Il neo noir di Verhoeven si definisce in determinati elementi di contenuto e di stile ed Elle ne è la nuova rappresentazione.
La prima linea principale della struttura narrativa complessa è questa: il rapporto tra Michèle e il suo stupratore mascherato che la perseguita
Tra gli elementi del primo abbiamo sempre la presenza di una donna forte, volitiva, un’evoluzione moderna della femme fatale (ricordiamo la bionda Christine, interpretata da Renée Soutendijk, ne Il quarto uomo, del suo periodo olandese, e Catherine Tramail della Sharon Stone in Basic Istinct) che ordisce reti di relazioni in trame complesse dove poter controllare i destini delle persone che cadono o si avvicinano (siano esse giovani o anziani, donne o, soprattutto, uomini).
Una vera e propria figura femminile di demiurgo che arriva sempre a raggiungere il proprio scopo e a essere costantemente al centro di ogni causa-effetto, sia con azioni provocate oppure in qualche modo subite temporaneamente, in un meccanismo stabilito di azione-reazione-azione. E anche in Elle la Michèle di Isabelle Huppert s’inscrive in questo disegno (creando un fil rouge con le figure femminili precedenti), di donna spietata e vincente in ogni situazione.
Michèle è una manager proprietaria di un’azienda produttrice di giochi di ruolo on line; ha un passato nerissimo con un padre serial killer che, quando lei era bambina, uccise ventotto persone nella città dove vivevano; un ex marito scrittore fallito e depresso; un giovane figlio che convive con una ragazza incinta; una madre che vuole sposare il suo giovane amante mantenuto; il marito della sua socia in azienda con cui ha una relazione puramente sessuale; la stessa socia, sua migliore amica, le dimostra un affetto che sfocia nell’attrazione fisica; uno stalker sul posto di lavoro che produce una sequenza animata di uno stupro; e infine, un altro stalker che le usa violenza fisica e la perseguita.
Isabelle Huppert è una vera e propria figura femminile di demiurgo che arriva sempre a raggiungere il proprio scopo e a essere costantemente al centro di ogni causa-effetto
In questo elenco ricchissimo di personaggi principali e secondari tutti sono collegati con al centro Michèle ed Elle inizia proprio dallo stupro subito dalla protagonista – in un incipit fulminante – di cui non vediamo che gli effetti, con la donna seduta nel salotto della villa in cui abita, in un quartiere alto borghese di Parigi, con tazze e bicchieri della colazione a pezzi che ricoprono il pavimento, il seno che s’intravede dal vestito nero così come la gamba sinistra nuda piegata verso l’esterno del corpo che mostra una stria di sangue rosso colante sull’interno della coscia. L’inquadratura si sofferma un attimo, con la donna pensierosa ma non disperata, che poi si rialza, si pulisce, si riveste, mette a posto la scena dello stupro come se nulla fosse.
La prima linea principale della struttura narrativa complessa è proprio questa: il rapporto tra Michèle e il suo stupratore mascherato che la perseguita, le lascia dei messaggi sul cellulare, biglietti in casa. La donna ne parla in modo del tutto aperto con gli amici come se nulla fosse, e allo stesso tempo si mette in testa di capire chi sia. Nel frattempo il marito della giovane coppia che abita di fronte inizia a interessarla, per poi scoprire, durante un’altra aggressione a cui riesce opporsi, che il misterioso stupratore è proprio lui. Invece di denunciarlo inizia un gioco sottile, sadico, tra i due, in cui Michèle non è sempre vittima ma appunto elemento di quella azione-reazione-azione caratteristica di Elle.
Lo sviluppo diegetico si dirama in decine di fili che si annodano intorno a Michèle che con le sue azioni coscienti provoca l’eliminazione diretta o indotta di tutte le persone che non ritiene più adatte alle sue necessità
Lo sviluppo diegetico si dirama in decine di fili che si annodano intorno a Michèle che con le sue azioni coscienti provoca l’eliminazione diretta o indotta di tutte le persone che non ritiene più adatte alle sue necessità e alla sua vita. Del resto il suo comportamento ha un coté di gioco sadico, che viene ben espresso metaforicamente con le indicazioni che fornisce ai suoi programmatori per rendere più eccitante lo stupro virtuale dell’avatar femminile da parte del mostro nel gioco ambientato in un mondo di fantasy (ed è anche interessante che la maggioranza degli impiegati della sua azienda siano tutti giovani maschi, dipendenti da lei e dalla sua volontà di potenza espressa in quanto padrona).
Ecco che allora da quello che in primo tempo può apparire come una donna sola e indifesa, Michèle si rivela essere una spietata e calcolatrice esecutrice dei suoi interessi o del suo piacere. E quindi la cena di Natale, davanti ai commensali (in cui sono presenti anche il vicino di casa stupratore, ormai disvelato, con la moglie, l’amante rifiutato con l’amica, il figlio con la compagna, l’ex marito con la fidanzata) insulta la madre che annuncia il matrimonio con il giovane amante. L’aggressione verbale porta all’ictus l’anziana donna e poi alla morte.
Il secondo tema fondante di Elle è l’ambiguità delle situazioni che sono conseguentemente derivate da quella dei personaggi.
Così abbandona l’ex amante perché si è stufata e lo rivela alla sua amica durante il lancio del nuovo gioco e si giustifica con lei dicendo che le “andava di scopare”. L’uomo sarà cacciato di casa e scopriremo, per via indiretta, da un dialogo tra le due donne, che diventerà alcolizzato e pazzo per essere stato abbandonato. Così anche quando Michèle decide di andare a trovare in carcere il padre serial killer, ripudiato e odiato, l’annuncio della visita per comprendere le ragioni del suo gesto di decine di anni addietro, porterà al suicidio il padre. Solo l’annuncio della visita provoca la morte.
E infine, farà uccidere dal figlio l’amante-stupratore in una sequenza nel prefinale di grande messa in scena drammaturgica. Michèle si rivela la femme fatale al cubo, un personaggio di una grandiosità tragica, grazie anche a una strepitosa interpretazione della Huppert, che dispone di tutti intorno a lei e li muove come pedine all’interno di un gioco di cui solo lei sa le regole: figlio, amante, stupratore, padre, ma anche la madre, l’amica, i dipendenti dell’azienda, l’ex marito.
Il finale rende ancora più forte l’ambiguità che si nasconde dietro a una cortina di formalità, convenienza, gestita delle donne
Il secondo tema fondante di Elle è l’ambiguità delle situazioni che sono conseguentemente derivate da quella dei personaggi. È ambiguo tutto il comportamento di Michèle, sempre border line nei confronti del vicino stupratore, da cui in qualche modo è attratta, fino ad arrivare a masturbarsi mentre lo spia con il binocolo dalla finestra di casa. Ma è ambiguo lo stesso passato della donna con un genitore così ingombrante: non sapremo mai perché il padre ha compiuto la strage e molti danno la colpa anche a lei, immortalata in una foto da ragazzina seminuda e imbrattata di sangue.
La sua spiegazione, in un dialogo con il vicino, con cui si confida una sera, dopo averlo invitato, è che puliva la casa e i vestiti pieni di sangue del padre. Ma non si ha una conferma e Verhoeven instilla il dubbio che lei in qualche modo sia coinvolta con gli omicidi paterni. E, del resto, il suo comportamento, non fa che rinforzare questi dubbi. Così come il rapporto con il vicino: vorrebbe avere una relazione sessuale “normale”, dopo aver scoperto la sua identità segreta, ma l’uomo è un malato incapace di un rapporto sessuale normale con una donna se non usandole violenza.
Ma l’ambiguità non è solo in Michèle personaggio e nelle sue azioni: strana è anche la cecità psicologica del figlio che non s’avvede di essere manipolato dalla giovane compagna, e quando nasce il bambino tutti sono coscienti che non è suo (solo per il semplice fatto del colore della pelle scura), ma la sua voglia di paternità lo acceca al punto da gridare in continuazione che si tratta di suo figlio; conturbante è il comportamento della vicina, religiosa al limite del bigottismo, che in uno scambio di battute finali con Michèle, dopo la morte del marito, si scopre che sapeva tutto delle perversioni del coniuge e la ringrazia persino di “aver alleviato i tormenti del povero marito per un po’ di tempo”.
La messa in scena di Verhoeven in Elle è accurata, va per accumulazione dei piani spaziali, dove i personaggi si muovono su geometrie predefinite, in linea sempre con l’inquadratura
Il finale poi rende ancora più forte l’ambiguità che si nasconde dietro a una cortina di formalità, convenienza, gestita delle donne, tutte chi più chi meno, artefici di quel meccanismo di azione-reazione-azione che abbiamo illustrato finora nei vari esempi dello sviluppo narrativo, con le due amiche riappacificate che s’incamminano verso l’orizzonte all’interno di un cimitero: attorniate dalle tombe, la sequenza è emblematica della scia di morte (fisica, morale e psicologica) che la protagonista si lascia alle spalle.
Se fine adesso abbiamo parlato dei contenuti principali di un film ricco e complesso come Elle, dobbiamo sottolineare alcuni aspetti di stile non secondari nella definizione del neo noir verhoeveniano.
Innanzi tutto, una predilezione dei primi piani e dei totali determinato dalla messa in scena di Elle per la maggior parte del tempo in interni e focalizzando la visione sui personaggi e i dialoghi più o meno esplicativi, più o meno contraddittori, più o meno ambigui, che costellano la sceneggiatura. Messa in quadro pulita, asettica, quasi invisibile, che non distrae lo spettatore dai personaggi e in particolare dalla protagonista Michèle, a cui la Huppert fornisce un’interpretazione in linea con lo stile della ripresa.
La fotografia con colori tenui, con una palette tendente alle tonalità pastello, la luce spesso soffusa più che diffusa, in parte sovraesposta così da giocare su un contrasto tra il grigiore del giorno (soprattutto negli esterni) con il buio più materico della sera e della notte o che risalta gli oggetti del profilmico nelle scene in interno.
Tutta la complessità della messa in scena e la scelta di inquadrature rendono la presenza della macchina da presa invisibile all’occhio dello spettatore
La messa in scena di Verhoeven in Elle è accurata, va per accumulazione dei piani spaziali, dove i personaggi si muovono su geometrie predefinite, in linea sempre con l’inquadratura. Prendiamo ad esempio la festa aziendale per il lancio del gioco, oppure la cena natalizia in casa di Michèle. In entrambe le sequenze, la scenografia non solo è composta da un profilmico che dona allo spettatore il senso di ricchezza visiva, ma i personaggi riempiono la scena fino a diventare corpi parlanti e in movimento che rendono dinamico un momento statico e donano profondità all’interpretazione, con il risalto di dialoghi rientranti nel meccanismo di causa-effetto di cui abbiamo già trattato.
La messa in scena quindi è sempre produttrice di eventi che portano avanti la diegesi a tappe forzate, dispiegando la ricchezza della fabula e i vari intrecci narrativi sottostanti a essa. Tutto questo grazie a un controllo della macchina-cinema da parte del regista olandese ormai arrivato all’apice della carriera ed esperienza, dando un nuovo senso al neo noir che in questo caso crea una riuscita atmosfera ibridata tra il polar francese e il post noir americano (di cui Basic Instinct è un classico esempio).
Elle è un’opera con una sceneggiatura dalla narrazione ricca e piena di colpi di scena ben disegnati, con cui Paul Verhoeven riesce a produrre un gioiello per messa in scena e scelte cinematografiche
Infine, tutta la complessità della messa in scena e la scelta di inquadrature, che rendono la presenza della macchina da presa invisibile all’occhio dello spettatore, viene accresciuta da un montaggio che a volte non è lineare, ma utilizza alcuni elementi di postmodernità rientranti nella rappresentazione dell’ambiguità nella sua forma.
Così il primo stupro viene mostrato indirettamente, con una messa in serie ritardata. Il secondo stupro invece viene montato con stacchi lineari, ripreso per intero dal suo inizio, anch’esso introdotto da uno stacco improvviso che rafforza la violenza visiva della sequenza.
Inoltre, abbiamo un paio di sequenze che sono oniriche, fantasie di Michèle, che sogna la reazione a un possibile nuovo atto di violenza, montate anche qui con stacchi precisi e chirurgici, senza nessun preavviso, che sconcertano lo spettatore, ma diventano specchio della psicologia del personaggio. Il montaggio, quindi, non ha solo funzione narrativa e di raccordo di scene, ma diviene elemento formale per rappresentare quella ambiguità contenutistica predominante in un film come Elle.
In conclusione, Elle è un’opera con una sceneggiatura dalla narrazione ricca e piena di colpi di scena ben disegnati, con cui Paul Verhoeven riesce a produrre un gioiello per messa in scena e scelte cinematografiche, riuscendo a ottenere il massimo dalla direzione degli attori, su cui giganteggia una Isabelle Huppert in stato di grazia. Insomma, un film imperdibile.
Antonio Pettierre