David (Jake Muxworthy) e Angelina (Karina Testa) guardano impotenti la loro avventurosa vacanza in mountain bike trasformarsi in una caccia all’uomo, in cui ricopriranno il difficile ruolo della preda. Nel tentativo di sfuggire a due pericolosi cacciatori (Ottaviano Blitch e Chris Coppola), i due giovani si spingono inconsapevolmente in un territorio liminale, ovattato dalla nebbia e dominato dall’Ombra. Cacciatori e prede non saranno più così diversi, una volta messo piede in quel luogo.
Shadow, secondo film di Federico Zampaglione, dopo Nero Bifamiliare (2006), arriva nelle sale italiane il 14 maggio, come un blasonato eroe di guerra. Sulle sue spalle il peso delle numerose parole spese sul suo conto da riviste e magazine di cinema, e ben esposte sull’uniforme le medaglie di battaglie già vinte.
Oltre ad aver conquistato il premio Nocturno Nuove Visioni 2009, assegnato dalla rivista omonima, e le statuette come Best Screenplay e Best Horror Director al Fantasy Horror Awards 2010, è riuscito a sedurre le platee di importanti festival internazionali.
Ma la medaglia più scintillante è quella che battezza Shadow come augusto segnale della rinascita del cinema di genere (horror) italiano. La dichiarazione sarebbe, di per sé, futile, se non fosse che per Zampaglione, grande appassionato di cinema horror e fine conoscitore dei capisaldi della nostra industria di genere, quello di far rifiorire in patria una prolifica produzione thriller-horror è un impegno più che sentito.
Se con Nero Bifamiliare, il regista si trovò a dover attutire i toni cupi pensati per il suo esordio filmico, per la sua seconda esperienza dietro la macchina da presa Zampaglione non accetta compromessi.
Scritto a sei mani con il padre Domenico, e con Giacomo Censini, Shadow è un horror complesso: non un semplice slasher, non uno di quei torture porn tanto alla moda, e nemmeno un horror-politico o sociale alla Romero.
Il film riesce a mantenersi costantemente in bilico fra le tre cose: fermenta in atmosfere chiaramente ispirate a cult come Non aprite quella porta (Tob Hooper, 1974) e Un tranquillo weekend di paura (John Boorman, 1972), non a caso Zampaglione ha più volte dichiarato la sua profonda stima verso i lavori filmici di Rob Zombie…
Allo stesso tempo, però, Shadow riesce a cavalcare l’onda di attualissima tendenza del torture porn, nel cui sottofilone il film dovrebbe rientrare, se non intervenisse il lavoro di decostruzione che il regista compie all’interno del genere. Zampaglione architetta efferate torture, messe in atto dal più convincente dei villain degli ultimi anni, l’androgino Mortis, impersonato magistralmente da Nuot Arquint: l’Ombra.
Ma oltre ai poveri malcapitati, sono le stesse scene di tortura ad essere sezionate dal regista e a rimanere monche. A scomparire è l’atto mostrato con crudezza e per intero. Quello che rimane è pura suspense, paura più che ribrezzo: il sapere cosciente che stia succedendo qualcosa di terribile e violento, che ci viene appositamente nascosto (messo in Ombra), per poi metterci di fronte al fatto compiuto.
I riferimenti politico-sociali non vanno cercati in seconda lettura, ma ci vengono sbattuti contro, violentemente, come scene gore. L’ombra della guerra in Iraq si fonde con l’Ombra aliena chiamata Mortis, che abita la nebbia notturna dei paesaggi meravigliosamente fotografati.
Unico neo resta il finale, che se per certi versi affascina, ingannandoci in un macabro gioco da matrioska, arriva però troppo velocemente, e con una troppo riconoscibile citazione.
Anche se risulta puerile parlare di rinascita del genere horror italiano, intorno a cui le nostre case di produzione sembra abbiano eretto un muro di silenzio, si può realisticamente pensare che Shadow possegga tutte le carte in regola (ottima fotografia, attori tutti convincenti, buon ritmo e scelte registiche azzeccate) per essere la scintilla scatenante dell’incendio che potrebbe riportare in auge un vivissimo, ma invisibile, mondo di produzioni horror made in Italy, finora obbligate a rimanere underground.
Luca Ruocco