Scelta infelice questo Free Fire come film di chiusura del 34° Torino Film Festival.
Siamo a Boston alla fine degli anni ‘70. Un gruppo di componenti dell’IRA (Irish Republican Army, l’organizzazione rivoluzionaria irlandese operante nel secolo scorso per la liberazione dell’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna) s’incontra con una coppia di trafficanti di armi per acquistare dei fucili automatici. All’inizio sembra che tutto vada per il verso giusto, poi, per un caso fortuito, inizia improvvisamente la sparatoria. Un ragazzo drogato, parente di uno dell’IRA, che doveva dare una mano nel trasporto della merce, viene riconosciuto da un guardaspalle dei trafficanti come colui che ha picchiato la cugina in un pub la sera precedente. A questo banale incidente, che provoca un effetto a catena, si aggiunge a metà del film l’intervento di cecchini esterni che iniziano a sparare a entrambi i componenti dei gruppi. C’è qualcuno che ha tradito e vuole impossessarsi del denaro. Finirà in un massacro senza nessun vincitore.
Sulla carta gli ingredienti giusti c’erano tutti: la regia di Ben Wheatley (autore inglese con un certo gusto del sarcasmo e della descrizione di personaggi atipici – suo l’irridente Killer in viaggio); un cast di attori di tutto rispetto (dal sudafricano Sharlto Copley a Cillian Murphy, da Brie Larson, neo premio Oscar per Room, a un gruppo di ottimi caratteristi); un soggetto che vede due gruppi di persone armate fronteggiarsi in un ambiente chiuso in uno scontro senza esclusione di colpi, un kammerpiel al sangue e adrenalinico.
Peccato però che il risultato finale risulti scadente e ripetitivo. Così assistiamo a quasi il novanta per cento della durata della pellicola a una sparatoria continua senza senso e girata a tratti maldestramente e intervallata da dialoghi che vorrebbero avere un non sense ed essere pieni di sarcasmo, ma che si rivelano invece del tutto superflui. Alcuni ci hanno visto una citazione del cinema tarantiniano (in particolare Le Iene), ma siamo distanti anni luce dalla complessità delle sceneggiature e dai dialoghi scoppiettanti del maestro californiano, così come la sua bravura di ibridare i generi e l’enciclopedico citazionismo. Al contrario, se proprio vogliamo trovare una fonte ispiratrice dobbiamo guardare al cinema di quegli anni di Walter Hill, ma mancante della capacità di gestire lo spazio e l’azione da parte di Wheatley. Per finire, la sceneggiatura di Free Fire risulta ben poca cosa e si può ridurre al soggetto sopra descritto e gli attori, seppur bravi, sono costretti, per la maggior parte del tempo, a strisciare feriti nelle macerie di questa fabbrica abbandonata, a nascondersi dietro ricoveri improvvisati nell’edificio, in una trappola per topi che li obbliga a una recitazione contratta oppure sopra le righe. Insomma, un film più che brutto, inutile e nemmeno divertente.
Antonio Pettierre