Una donna sposata (Une femme mariée) è un film del 1964 diretto da Jean-Luc Godard, l’ottavo lungometraggio del regista franco-svizzero. È la cronaca di 24 ore nella vita di una giovane donna sposata; porta come sottotitolo la didascalia Frammenti di un film girato nel 1964. Il titolo originale, La femme mariée, (“La donna sposata”) viene proibito dalla censura perché estendeva a tutte le donne il comportamento extraconiugale della protagonista; usando l’articolo determinativo invece Godard voleva dare l’impressione di non presentare una storia particolare, bensì un vero e proprio saggio sulla donna contemporanea.
«Dal momento che la sessualità di trova al centro di questo film, si trattava di trovare il modo di filmarla in maniera adeguata. Godard, pudico calvinista, inventò la frammentazione del corpo in primissimi piani incredibilmente suggestivi seppur estetici e privi di psicologia.» (Macha Méril)
Il precedente film Questa è la mia vita che Godard aveva girato nel 1962, già aveva come soggetto un’inchiesta sociologica; anche questo Una donna sposata ha l’ambizione di presentare la realtà non attraverso gli strumenti della fiction, della letteratura, bensì quelli delle scienze sociali. Il regista dichiarerà infatti a Le Monde: «Ho preso in considerazione la donna come se fosse uno strumento, da un punto di vista tecnico. Se volete, il mio film è una specie di prospetto sulla donna, che è composta da braccia, da gambe, ventre, volto, da mani., da “ti amo”. È un’opera che pretende di essere documento sociologico, che descrive un determinato comportamento senza preoccuparsi del torto o della ragione. »
Charlotte, il marito e l’amante sono trattati come oggetti, esattamente come le auto che compaiono nelle immagini, come gli aeroporti, i giornali, la biancheria intima, gli interni d’appartamento, le immagini pubblicitarie: tutto filmato allo stesso modo obiettivo, frontale, frammentato e astratto. «Ho lavorato come un etnologo, così come Lévi-Strauss avrebbe potuto dare l’idea di una donna in una società primitiva del Borneo, così ho cercato di dare l’idea della donna in una società primitiva del 1964. » (Jean-Luc Godard)
La censura impone il taglio di un breve inserto documentaristico girato da Jacques Rozier sulla moda del costume da bagno monokini lanciata quell’anno stesso. Per il ruolo della attrice protagonista, viene scritturata la ventiquattrenne franco-russa Macha Méril, dal momento che la moglie di Godard, Anna Karina, è impegnata con le riprese di Le soldatesse di Valerio Zurlini. Lo sguardo che si potrebbe definire “entomologico” del regista sul corpo di Macha Méril restituisce le più delicate e incantate scene d’amore del cinema moderno.
«La contemplazione di Godard non è mai stata così intensa, così affettuosa, così affascinata. Non per nulla un buon terzo del film rappresenta mani che si accarezzano, che palpano, che toccano, che si intrecciano, che si aiutano, che si stringono, che si separano.» (Alberto Moravia)
Il film è molto costruito sul montaggio, giocato sull’alternanza di parti della donna-oggetto e di oggetti veri e propri, come marche di profumi e manifesti pubblicitari di biancheria intima.
«Questo film molto grafico denuncia la potenza della pubblicità attraverso le immagini, utilizzando le sue stesse armi.» (Macha Méril)
È per questa ragione che la critica lo associa subito alla pop art, rendendo improvvisamente Jean-Luc Godard un regista moderno per antonomasia: il suo è un discorso che diventerà sempre più critico sulla società dei consumi, sulla mercificazione (nel senso indicato da Walter Benjamin, come mercificazione del corpo, in modo particolare quello femminile, nella società neocapitalista. Nasce anche con questo film il mito God-art come derivato da Pop-art, inventato dal critico comunista Georges Sadoul su Les Lettres Françaises.
Una donna sposata rappresenta una tappa importante del lavoro di Jean-Luc Godard sulla questione del monologo interiore sul grande schermo. Questo film porta un colpo alla concezione unitaria del monologo, che si frantuma in una serie di cocci, in una decomposizione dell’interiorità dei personaggi e del mondo esterno che è il risvolto cinematografico della tecnica che Dos Passos aveva introdotto nel romanzo: per esempio quando Charlotte confonde se stessa con le pagine dei settimanali che sfoglia.