La bellissima Elaine (Samantha Robinson), dopo la morte del marito, da San Francisco si trasferisce in una cittadina della provincia californiana, dove la magia e la stregoneria sono tollerate dalle autorità locali. La donna ha abbracciato i riti magici per trovare l’uomo della sua vita a cui dedicarsi totalmente.
Anna Biller, autrice nel senso completo del termine (visto che di questo The Love Witch è soggettista, sceneggiatrice, regista, costumista, scenografa, musicista, montatrice e infine anche produttrice), si cimenta in un tour de force visivo di gusto pop, con richiami al cinema di genere degli anni ‘60 (imitandone anche lo stile visivo e la messa in scena) più di gusto televisivo che cinematografico, con costumi sgargianti, scenografie barocche e una fotografia con colori saturi, sovraesposti, materici, dove domina il rosso, il giallo, il bianco e il nero.
Grazie alle performance attoriale della sensuale e ironica di Samantha Robinson, la Biller mette in scena principalmente il suo mondo interiore per esprimere e far esplodere una fantasia visiva fuori dal comune. Certo, il tema sottostante a cotanta verve scopica è la liberazione sessuale della donna, dove la stregoneria viene utilizzata come mezzo di indipendenza. Nella sua ricerca dell’uomo perfetto Elaine utilizza tutti i mezzi magici (e non) a sua disposizione. Così dopo aver avvelenato il marito che non l’amava, fa prima impazzire d’amore un insegnante della locale università (che muore d’infarto); poi il marito di una sua amica (che si suicida perché non riesce a sostenere il troppo amore); infine, trovando l’uomo dei suoi sogni, il suo principe azzurro, nel detective della polizia locale che indaga sulla morte del professore. Ma Elaine è una strega e quello che cerca è l’amore assoluto e il possesso non solo del corpo, ma anche dell’anima e del cuore dell’amato (letteralmente come mostra l’inquadratura finale di The Love Witch). La scelta di ambientare la vicenda in California in anni ‘60 alternativi e onirici sembra quasi un omaggio a un periodo storico in cui i giovani si liberavano del moralismo del decennio precedente e facevano nuove esperienze, scoprendo il sesso libero, le droghe, la libertà dei costumi e dei comportamenti, gli abiti colorati e succinti per mostrarsi al mondo.
Questo senso di libertà anarchica si sprigiona in The Love Witch però, più che nel tema sotteso, nella sua messa in scena e nei registri stilistici utilizzati, assemblando vari generi come in una pozione magica per far innamorare lo spettatore: andiamo quindi dal thriller (la vedova assassina, la detective story con l’indagine sul primo morto) alla commedia erotica (Elaine che concupisce e circuisce gli uomini utilizzando la sua avvenenza e il suo corpo); dal musical (le sequenze cantate durante la festa in costume dove i due protagonisti si travestono da principe e principessa in un matrimonio da favola) all’horror (tutta la parte di stregoneria, le morti indotte o portate a termine da Elaine che si comporta come una serial killer). Film dallo stile pop per antonomasia, viene omaggiato il burlesque con gli spogliarelli e l’abbigliamento intimo di Elaine, per gli uomini oggetto della sua attenzione, e il gusto camp per gli eccessi pacchiani prodotti dai costumi e dalla scenografia.
The Love Witch alla fine di dimostra per quello che è: un bell’esercizio di postmodernità, dove si mescola di tutto e di più, un puro divertissement per gli occhi dello spettatore divertito e stregato.
Antonio Pettierre