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34 Torino Film Festival: Goksun – The Wailing di Hong-jin Na (After Hours)

Goksun – The Wailing si presenta come un’opera distopica, soprattutto sui (tanti) registri narrativi: un inizio che punta al thriller iperviolento, pian piano si avvicina verso tutti i sottogeneri dell’orrore fino all’amaro ed esasperante finale, in realtà meno surreale di quanto sembri

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Presentato al Festival di Cannes 2016, la sezione After Hours del TFF ripropone a sua volta Goksun – The Wailing del coreano Hong-jin Na, suo terzo lungometraggio e largamente apprezzato dalla critica perché capace di spaziare in tutti i sottogeneri del cinema horror.

La realtà Goksun, piccolo villaggio sperduto tra i monti coreani, viene sconvolta da una serie di omicidi raccapriccianti, commessi da persone in evidente stato confusionale, con il corpo ricoperto da strane pustole, farneticanti su un inquietante uomo giapponese (detto «lo straniero») che vive su una vicina montagna. Il poliziotto Jong-Goo inizia un percorso d’indagine per arrivare a capo del mistero, intanto la piccola Hyo-Jin, sua figlia, incomincia a dare segni di squilibrio mentale.

Goksun – The Wailing si presenta come un’opera distopica, soprattutto sui (tanti) registri narrativi: un inizio che punta al thriller iperviolento, pian piano si avvicina verso tutti i sottogeneri dell’orrore fino all’amaro ed esasperante finale, in realtà meno surreale di quanto sembri.

I riferimenti sono ampissimi: lo splatter dei maestri italiani come Bruno Mattei, Lucio Fulci, Aristide Massaccesi; il grottesco estremo rappresentato da fontane di vomito infinite (vedi Splatters – Gli schizzacervelli di Peter Jackson o la sequenza dello sciroppo di ipecac ne I Griffin); fantasmi in puro stile asiatico; satanismo, con tanto di possessioni demoniache, opposto a sciamanesimo e cristianesimo; cani neri inferociti nipoti di Cujo o del cane infernale. Insomma, mancano solo i vampiri e l’en plein sarebbe fatto, complice una lunghezza impegnativa, ma che non si accusa troppo grazie, appunto, ai cambi di registro che tengono continuamente sulle spine lo spettatore.

Na ha realizzato una storia notevole, complice un’ammiccante ambientazione montanara, contraltare etereo perfetto delle orrende scie di sangue che si stanno espandendo lungo il paese. Così come il gioco della fotografia (curata da Kyung-pyo Hong) sulle giornate temporalesche che stritolano la povera quotidianità dei protagonisti: Jong-Goo e la moglie sono costretti a fare sesso in macchina per via dei pochi spazi casalinghi condivisi con la figlioletta e la nonna, ma vengono subito pizzicati dalla piccola Hyo-Jin, più spigliata di quanto sembri e vera vittima dei fatti. Posseduta come Reagan (ma senza vomito verde e crocifissi usati in maniera poco convenzionale) urla con tutto il suo odio addosso alle figure che gli sono più accanto. Secondo Na, il Male è sempre esistito e continuerà a esistere, ma la colpa non è di Satana, dei demoni o delle streghe. Essa è solo nostra, partorita dalle nostre fragili menti.

Francesco Foschini

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