Dopo la presentazione alla Berlinale, arriva anche al Torino Film Festival Ta ‘ang, ultima preziosa fatica di Wang Bing. Con la consueta poetica dello sguardo che lo contraddistingue e la maestria con la quale riesce a fotografarli e a coglierne l’essenza più profonda, il cineasta cinese ci introduce ancora una volta in uno dei tanti mondi che ha scelto di esplorare e di regalarci l’onore di visitare da un punto di vista così privilegiato. Il regista sceglie di raccontare le ultime vicissitudini della dinastia dei Ta’ang, minoranza etnica che all’inizio del 2015 si trova a dover migrare dalla Birmania verso la Cina per sfuggire agli scontri civili in atto nel suo paese d’origine. Così quello che vediamo è una moltitudine di persone che insieme camminano attraverso le vie impervie del confine tra Cina e Birmania, nella speranza di trovare luoghi più sicuri, tantissimi bambini, ma anche donne e anziani che affrontano la fatica, la fame, il freddo, aiutandosi vicendevolmente in maniera istintiva. Anche in questo caso gli occhi dello spettatore vengono riempiti, tra le altre cose, dai volti incredibilmente espressivi dei bambini sui quali il regista sceglie spesso di soffermarsi
Come già ci ha abituato in lavori meravigliosi come Feng Ai, The ditch o Tre sorelle, tra i quali probabilmente l’ultimo citato è quello più vicino e che ricorda maggiormente questo suo lavoro, Wang Bing, sfrutta la sua innata capacità di catturare gli elementi più umani dei soggetti che sceglie di riprendere, dimostrando ancora una volta una rara sensibilità. Un autore che, qualsiasi sia l’oggetto sul quale decide di orientare la sua macchina da presa, mostra un amore profondo per l’essere umano, un’attenzione e una vera e propria cura affettiva verso tutte le sue sfaccettature, attraverso le quali coglie i vissuti con i quali l’individuo che riprende vive le condizioni di vita più ostiche, umilianti o pericolose. E soprattutto, aspetto che colpisce forse più di ogni altro, ogni volta riesce a catturarne con incredibile finezza e abilità, una delle caratteristiche più preziose e necessarie, forse quella che lo mantiene in piedi, qualsiasi situazione si ritrovi a vivere o subire: la dignità. Ed è bellissimo vedere come queste persone continuino anche nelle condizioni più difficili, in cui devono camminare a piedi scalzi, lavarsi nei fiumi e mangiare con le mani esigue porzioni di riso che si spartiscono indipendentemente dalle parentele o dalle amicizie, solo in virtù del fatto che si trovano sulla stessa barca, e mantengano una cura per l’estetica, indossino collane, ornamenti o abiti tipici. Impressiona riconoscere l’istintualità della vicinanza umana con cui si crea il senso di sicurezza, in particolare come i volti dei bambini non siano mai attraversati da espressioni di paura, non si lamentano praticamente mai, sorridono, continuano a giocare, e i più piccoli trovano la loro dimensione semplicemente nel contatto fisico con la madre, che li trasporta e li protegge prima di qualsiasi altra esigenza.
È bellissima la musicalità della lingua nella quale alcune delle donne si mettono a raccontare piccole parti della loro storia, la notte davanti al fuoco o nei rifugi approntati per trascorrere le ore più buie e riposarsi. E ci si perde ad ascoltarle, così come ci si sente vicini a loro nelle tante meravigliose riprese notturne, impreziosite dai colori del fuoco, di una candela che illumina i visi affaticati ma vivi e attraversati da un forte senso di appartenenza. Soltanto dopo un’ora e mezza, si fa cenno a come ci si possa sentire in queste condizioni, facendo riferimento a come possano essersi sentiti i figli di una persona anziana picchiata a morte dai soldati incontrati nella loro strada, e nei racconti delle donne si concede un piccolo spazio al senso di fatica, di precarietà fisica, al dolore, la malattia e alla paura di non farcela e di morire.
È sempre e comunque riduttivo cimentarsi nel tentativo di rendere a parole ciò che ci si riesce a godere durante la visione di un’opera di Wang Bing, ci sarebbe da scriverne per ore e non sarebbe mai esaustivo. Di sicuro, ci si sente di consigliare vivamente di avvicinarsi al suo cinema, e magari di farlo sfruttando l’occasione di vedere questo bellissimo film.
Roberta Girau