“Gli uomini mi guardano come un cane
guarda una briciola di pane raffermo.
Sono cibo da emergenza.”
Sion Sono effettua con questo suo ultimo eccezionale lavoro un’operazione di straordinaria sensibilità e di una profondità commovente, che soltanto un autore abbastanza instabile e fuori dalle righe, squilibrato e meravigliosamente libero come lui, poteva rendere con tanta potenza ed efficacia, canalizzando elementi di una violenza estrema e a tratti difficile da sostenere attraverso la sua stravagante eccentricità.
È sorprendente come sia stato capace di esprimere da uomo, attraverso un’ottica soggettiva, i vissuti contraddittori e profondamente intimi che normalmente appartengono all’universo femminile nella sua più difficilmente condivisibile interiorità. Quella più segreta e inconfessata, spesso anche a se stessa, che individua, cogliendolo nella sua essenza, il senso di disgusto che una donna, nei suoi angoli più reconditi, più o meno consapevolmente, prova nei propri confronti, esito del conflitto tra il desiderio e i propri freni inibitori, tra il bisogno primario di appagamento fisico e la necessità vitale di sentirsi voluta al di là del proprio corpo e contemporaneamente attraverso di esso, che rappresenta insieme oggetto di brama, ma non può permettersi di bramare, non liberamente, che prova onta nel momento in cui si scopre animale, che non è in grado di far convivere purezza e lussuria, sessualità e innocenza, corpo, carne, mente e anima. Che fa corrispondere le proprie pulsioni alla nausea di se stessa e a una vergogna infinita che la tiene prigioniera. “Prigioniera della propria libertà”, costretta a una libertà che è atta a compiacere ma che non è in grado di padroneggiare. E allora una parte di sé, di dimensioni variabili a seconda della sua storia, si disgusta di se stessa ogni volta che si eccita, proprio quando prova piacere, e in una certa misura sente di meritare di essere punita, dominata, costretta, stuprata, da se stessa o da un uomo, come se quel piacere non le spettasse, non le appartenesse, non potesse permetterselo o potesse permetterselo soltanto così.
Sion Sono colloca questi aspetti in un discorso multisfaccettato, caratterizzato da una moltitudine di elementi che si interfacciano, si sovrappongono, si contengono l’un l’altro e si compenetrano in un’esplosione di isteria e di colori, dando luogo a una voce potentissima e a una comunicazione che diventa in più occasioni molto violenta e non solo nella sua espressione fisica. Il regista giapponese sceglie di caricare e rafforzare i concetti essenziali che vuole trasmettere proponendoli e riproponendoli reiteratamente, urlandoli e rinnegandoli continuamente, rendendoli ora parte di un set cinematografico, ora di un sogno, ora di una pièce teatrale, andando a comporre la struttura continuamente distorta di un film infinito, che si ricostituisce ancora e ancora assumendo ogni volta una forma diversa, sempre e comunque soffocante, alienante e claustrofobica, nel quale si perde totalmente la facoltà di capire quale sia la realtà e quale la finzione, dal quale non esiste una via d’uscita, vissuto sino alla disperazione ma pregno di una vitalità gigantesca che si esplica in una vera e propria doccia di colori, sgargianti, diversi, sporchi, puri e mischiati tra loro in un inconsulto e intensissimo slancio di sé.
Sono inserisce una serie di autocitazioni e di rimandi ai suoi lavori precedenti facilmente riconoscibili per chi conosce il suo cinema, quasi a voler confermare un unico filo conduttore che si manifesta sia nei contenuti che nel linguaggio, rafforzando l’affermazione di una identità sempre più caratteristica e propria, dotata della solita energia. Un’energia che è visiva, musicale, esplosiva, squilibrata, nella quale confluiscono colori, suoni, espressioni verbali, fisicità. Il tutto riesce ad assumere, a seconda del momento del film in cui viene rappresentato e della modalità in cui viene proposto, una valenza che diventa sociale, politica, filosofica, psicologica. Non che sia la prima volta che questo prezioso autore ci pone davanti alle sue doti, ma questa volta per molti aspetti, si può dire che si sia superato.
L’unico rammarico è che un cineasta di tale valore non sia mai stato e probabilmente non verrà mai distribuito nelle nostre sale, limitando fortemente la possibilità che il maggior numero di amanti del grande schermo possano accedere a un cinema così bello e folle.
Roberta Girau