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MedFilm Festival: Ailleurs di Othman Naciri

Il primo blocco di cortometraggi del MedFilm Festival 2016 nel quale ci siamo imbattuti, martedì 8 novembre, ci ha regalato almeno un paio di perle. La visione che ci ha più emozionato è stata senza dubbio quella di Ailleurs, opera del cineasta marocchino Othman Naciri.

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Il primo blocco di cortometraggi del MedFilm Festival 2016 nel quale ci siamo imbattuti, martedì 8 novembre, ci ha regalato almeno un paio di perle. La visione che ci ha più emozionato è stata senza dubbio quella di Ailleurs, del cineasta marocchino Othman Naciri.
“Ho attraversato diverse volte il deserto, ho voluto raccontare la storia dei rifugiati da un punto di vista umano. Ci si preoccupa tanto delle persone ma non si va mai a fondo”.
Questo è solo un breve estratto delle parole pronunciate dal regista al termine della proiezione, durante l’incontro col pubblico, ma già prima, nell’introdurre brevemente il corto, aveva saputo offrirci una traccia decisamente valida da percorrere: la ricerca di un cinema di poesia, che sia anche cinema dalle forti aspirazioni politiche.

Questo connubio di cinema poetico e politico lo abbiamo poi ritrovato con facilità, naufragando nelle maestose immagini del deserto che, in Ailleurs, sono anche cornice di sofferte parabole esistenziali. Il corto diretto da Othman Naciri si apre con le peregrinazioni di un anziano nomade ai margini del Sahara. Lo vediamo trattare con gli uomini di un piccolo avamposto militare. E poi avventurarsi tra le dune, dove il suo destino si incrocerà con quello di un giovane e vigoroso figlio dell’Africa nera, che a Casablanca in Marocco ci vuole arrivare a tutti i costi, per ricongiungersi coi propri parenti e sperare così in un futuro migliore.
Ma anche il vecchio ha storie forti da raccontare. Una famiglia perduta. E i tanti ricordi, che sono in fondo la sua vera patria. Un clima di confidenza si instaura ben presto tra i due uomini, incontratisi nel deserto, atmosfera empatica e di grande apertura grazie alla quale noi spettatori apprendiamo qualcosa di più sul passato del nomade, che rimanda peraltro a una dolorosa vicenda collettiva: la drammatica storia del popolo Saharawi, questione mai veramente risolta dopo la fine dell’epoca coloniale.
Con un tocco delicato, ma che non fa sconti alle ingiustizie sociali presenti anche nella società marocchina (dove l’immigrazione interna dai paesi dell’Africa subsahariana è vissuta non senza traumi), Othman Naciri fa dialogare i due personaggi tra loro ed entrambi col paesaggio circostante, regalandoci un ritratto antropologico che non lascia indifferenti. E anche lo scivolare di tale conversazione nella musica, nell’ultima propaggine di una colonna sonora molto efficace ed evocativa, fa sì che gli stessi titoli di coda aggiungano all’opera una forte valenza emotiva.

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