Sinossi: Quanto dista la Colombia dal resto del mondo? Pochi passi, grazie alle righe scritte dall’uomo che più d’ogni altro ha preso per mano l’intero Sudamerica e l’ha portato a raccogliere ovunque applausi e ammirazione. Lo chiamavano tutti Gabo, come un amico, come un fratello. Perché Gabriel Garcia Marquez sapeva entrare nel cuore dei suoi lettori, con la sua sensibilità, con la sua coerenza, con il suo impegno professionale e politico, dal giornalismo militante all’amicizia con leader politici come Fidel Castro e Bill Clinton. Uno dei maggiori scrittori del Novecento, premio Nobel per la letteratura nell’82, autore di capolavori assoluti come Cent’anni di solitudine e Cronaca di una morte annunciata. Una vita toccata dalla grazia, dall’avventura, da un incredibile talento. E dall’affetto dei milioni di persone che hanno avuto la fortuna di sfiorarlo, anche solo attraverso le pagine di un libro.
Recensione: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”: l’immaginifico incipit di Cent’anni di solitudine (1968), 190 caratteri, 31 parole, 2 righe che incredibilmente contengono tutta la poetica di Gabriel Garcia Marquez, scrittore colombiano considerato uno dei maggiori autori della letteratura spagnola e mondiale, iniziatore del realismo magico in letteratura e grande cantore del subcontinente latino americano. Di Gabo, come affettuosamente lo chiamavano gli amici, si conoscono le opere che lo portarono al premio Nobel nel 1982, si conosce l’amicizia con il lider maximo Fidel Castro, il rapporto con il presidente statunitense Bill Clinton, il suo impegno politico e civile, ma tutto questo non è abbastanza per entrare nel fantastico mondo di questo intellettuale che si mosse tra giornalismo, letteratura e cinema.
Attraverso le testimonianze dirette di chi lo conobbe, questo documentario prova a ricostruire il percorso biografico del celebre scrittore. Lo seguiamo sin dalla nascita, primogenito di sedici figli, i suoi rapporti difficili con l’autorità del padre, il senso di abbandono, fino a trovarlo studente di giurisprudenza a Bogotà dove conduce una vita da dissoluto bohémien. Già in questa fase mette in luce le sue doti di scrittore, ma chi gli era vicino non avrebbe scommesso un lira su un simile sbandato. Invece, abbandonati gli studi di giurisprudenza e scienze politiche, riesce ad inserirsi brillantemente nella carriera giornalistica come corrispondente del giornale El Espectador. Con questo lavoro riesce a girare il mondo e a diventare un famoso cronista che partendo dalla critica cinematografica diventa un commentatore amatissimo dal suo pubblico. Si trova a Cuba quando i barbudos entrano a L’Avana e, pur conservando proprie critiche al regime castrista, resterà per sempre amico della rivoluzione cubana. Questo non gli impedisce di costruire un personale dialogo con Bill Clinton che lo considera il suo scrittore preferito.
Marquez utilizzerà questa sua posizione di rilievo per intercedere nella soluzione di diversi casi giudiziari e diplomatici. Ma il documentario non si limita a raccogliere le testimonianze degli amici e recupera anche vecchie interviste dello scrittore, che rivela pezzi della sua vita, come la scelta azzardata e ostinata di scrivere anche contro il parere dei primi critici, anche quando questo esponeva lui e la sua famiglia al rischio della povertà. Riusciamo a capire come la scrittura sia stata per lui una necessità ineluttabile che gli permette di affermarsi come uomo prima ancora che come intellettuale. Veniamo a conoscenza di dettagli che ritroviamo nelle sue opere, le donne che ha amato, l’affabulazione di sua nonna a cui lui attribuiva un’influenza sulla sua vena surreale, le storie della sua famiglia che sono diventati libri come la storia d’amore tra i propri genitori che finisce dentro L’Amore ai tempi del colera (1986), o la vicenda di suo nonno che non si vide mai riconoscere la pensione per la sua partecipazione alla guerra civile e diventa materia per quello che lui considera il suo capolavoro assoluto, Nessuno scrive al colonnello (1958), scritto mentre viveva senza soldi in una mansarda di Parigi.
Questo è un film sobrio e semplice, che non ambisce a incantare vaste platee, ma contiene diverse perle di conoscenza che non mancheranno di entusiasmare chi sente la passione della scrittura, chi ama i libri di Gabo e chi ha apprezzato o vuole meglio conoscere questo protagonista del XX secolo. Come quella che ci regala lo stesso scrittore al termine di questo viaggio, parlando della sua avversione contro la morte e della sua lotta per allontanarla, alla domanda del giornalista che gli chiede cosa si possa fare per sconfiggerla, Marquez risponde: “scrivere, scrivere molto”. Solo tre parole, che valgono come un intero testamento.
Pasquale D’Aiello