L’infiltrato è quella parte dello Stato che, da solo, cerca di contrastare il potere dell’associazione di stampo mafioso, che agisce indisturbata attraverso una rete sociale collusa e tenuta in piedi con un sistema di rapporti di tipo medievale. TaoDueFilm torna con la miniserie tv Solo, in cui il protagonista, interpretato da Marco Bocci, è un agente sotto copertura che riesce ad entrare in uno dei più potenti clan dell’Ndragheta, raccontando di una terra e di un clan mafioso che fino ad ora hanno avuto poco spazio sia nella serialità televisiva che sul grande schermo.
Sinossi: Marco Solo (Marco Bocci) è un agente speciale che dopo un anno di lavoro da infiltrato nella malavita romana partecipa ad uno scambio di armi tra i calabresi del clan Corona e un gruppo di trafficanti ucraini. Durante l’operazione si guadagna la stima di Bruno Corona (Peppe Mazzotta), figlio del boss Don Antonio (Renato Carpentieri), capo indiscusso di una delle cosche più potenti della Piana di Gioia Tauro, i cui traffici illeciti si svolgono grazie all’esclusivo appannaggio che la famiglia ha da anni con il porto di Gioia Tauro.
Marco entra in casa Corona sotto copertura, seguito da altri due agenti di polizia, tra cui Barbara (Diane Flèri), la sua compagna, con cui vive un rapporto sempre pieno di tensioni, causate soprattutto dai rischi del lavoro di infiltrato; gli equilibri di casa Corona sono molto delicati. Se da un lato c’è la linea della fermezza di Don Antonio e del figlio Bruno, nell’imporsi contro le famiglie rivali per il controllo del porto, dall’altro il fratello di Antonio, Vincenzo (Pierluigi Misasi), è disposto ad un’apertura nei confronti della famiglia antagonista, i Gargano, specialmente all’indomani della morte del vecchio capoclan, la cui esistenza in vita aveva garantito fino a quel momento una tregua.
La “pax” instaurata dalla volontà del vecchio Gargano, che voleva tenere la sua famiglia lontana da faide sanguinose, viene a mancare poche ore dopo la sua morte. Marco, ormai perfettamente inserito nel clan Corona, si ritrova così a dover agire contro la sua natura, compiendo crimini efferati che vanno contro la sua etica e che non si era reso conto di dover affrontare sin da subito.
Nell’intento di sabotare, almeno parzialmente, una delle azioni criminali che Bruno gli ordina, si scontra con l’altra faccia della sua realtà lavorativa; uno dei poliziotti incaricati delle indagini per l’aggressione a mano armata a Don Antonio, è al soldo dello stesso Bruno Corona, il lato sbagliato di un Stato che fa da anti-Stato, lavorando per il proprio tornaconto personale e non per la sicurezza del territorio.
Nel conflitto che Marco vive quotidianamente entra di prepotenza anche la giovane Agata (Carlotta Antonelli), figlia di Don Antonio e sorella di Bruno, ribelle spavalda e completamente estranea alle logiche che tengono in piedi gli affari di famiglia. Agata si rivelerà fondamentale per le indagini di Marco, anche se questo avverrà sotto gli occhi della sua compagna Barbara.
Recensione: Pietro Valsecchi di TaoDueFilm presenta Solo che annuncia il ritorno della casa di produzione al racconto di personaggi unici. La storia di Marco Solo, diretta da Michele Alhaique, si ispira ad un fatto vero accaduto qualche anno fa che dà la possibilità attraverso la televisione di mostrare, specialmente ad un pubblico giovane, il lato migliore dello Stato, quello fatto di persone che fanno il proprio mestiere con passione, onestà e determinazione per cercare di sradicare le associazioni di stampo mafioso, il cui fatturato, nel caso della ‘Ndragheta calabrese, arriva ai 40 miliardi in tutto il mondo.
In conferenza stampa sono intervenuti Giovanni Tizian, nato a Reggio Calabria nel 1982, giornalista dell’Espresso che a seguito di un’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose, per la Gazzetta di Modena, ricevette minacce per le quali vive ancora oggi sotto scorta; Federico Cafiero de Raho, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria e Raffaele Grassi, Questore di Reggio Calabria.
Tutte e tre sono concordi nel sottolineare l’importanza di divulgare attraverso un prodotto seriale televisivo come Solo, tutto il lavoro svolto quotidianamente dallo Stato per la lotta alla criminalità organizzata, e restano colpiti dal personaggio di Marco. La figura dell’agente sotto copertura incarna uno strumento preziosissimo nell’ambito di questa lotta, disposto a mettere a rischio la propria vita. L’infiltrato è quella parte dello Stato che, da solo, cerca di contrastare il potere della ‘Ndrangheta che agisce indisturbata attraverso una rete sociale collusa e tenuta in piedi con un sistema di rapporti di tipo medievale.
Il Questore Grassi aggiunge inoltre che la prima puntata, presentata in anteprima stampa alla Casa del Cinema di Roma, è del tutto pertinente e rispondente alla realtà e che l’interpretazione fornita da Marco Bocci riesce a rendere molto bene il conflitto interiore che vive giorno dopo giorno un uomo di legge, costretto a compiere atti criminosi che vanno contro l’etica e la morale, per ottenere la fiducia dei boss malavitosi. Solo è un personaggio coraggioso ma gli si legge chiaramente la paura negli occhi e trasmette la disperazione di fronte a delle scelte che compromettono in maniera violenta la vita di alcune persone.
Grasso traccia alcuni elementi fondamentali della struttura a base familistica delle cosche della ‘Ndrangheta, tra cui l’importanza della donna, che vive silenziosa delle retrovie e si fa custode degli atroci segreti del clan; l’appartenenza alla famiglia, che rende difficile a chi non ha vincoli familiari, di entrare a far parte del gruppo; il controllo dei territori, che negli Ottanta e Novanta ha scatenato una serie ininterrotta di faide tra famiglie, che attualmente sembrano congelate da una tregua.
Il maggior nemico nella lotta alla criminalità – interviene il Procuratore Cafiero De Raho – è l’inquinamento delle istituzioni. Nella serie di Michele Alhaique c’è infatti il “cattivo poliziotto”, il corrotto, che fa parte dello Stato ma vi lavora contro e al tempo stesso rafforza le radici della ‘Ndragheta nel tessuto sociale in cui agisce.
Quello che può aiutare nella lotta alla ‘Ndragheta, oltre al lavoro di infiltrazione, è anche un lavoro culturale: parlare di ciò che accade all’interno dell’organizzazione e soprattutto iniziare ad andare contro certe abitudini, come l’accettare il favore da un boss oppure scendere a compromessi per il proprio tornaconto personale. La repressione non serve, sostiene Tizian, ci vuole la Cultura, affinché i giovani non si trovino costretti ad trasferirsi fuori dalla loro regione natìa e possano vivere pienamente il loro territorio.
Giovanni Tizian è entusiasta della fiction di TaoDue, perché la ‘Ndragheta viene raccontata poco spesso, rispetto alle altre associazioni mafiose; la grande rivoluzione che Solo trasmette risiede sia nella passione che ci mette lo Stato nel combattere la criminalità, che nel personaggio di Agata, che rompe gli schemi con il ruolo della donna all’interno delle famiglie. La ‘Ndrangheta è un fenomeno complicato – prosegue Tizian – ha delle regole simili a quelle delle logge segrete, ma dopo la strage di Duisburg del 2007 sembra ci sia una maggiore volontà da parte dello stato e un maggiore impegno nella lotta.
Eppure la strada è lunga: nonostante siamo lontani dagli anni in cui le lotte tra famiglie insanguinavano la terra, specialmente quella che si estende tra il territorio dell’Aspromonte e la piana vibonese, con ferocia e brutalità la ‘Ndragheta è cresciuta, è entrata nel narcotraffico fino ad insinuarsi nell’economia legale, spiccando il volo sulla pelle delle persone oneste.
E tra le cosche e le persone oneste c’è una terra di mezzo fatta di “invisibili riservati”, che hanno retto per anni le fila del gioco: avvocati, commercialisti, politici, che si sono esposti per conto dei boss e hanno contribuito a creare quel modo di pensare, quell’attitudine ad agire per i propri interessi a discapito della collettività, alimentando un territorio in cui non si distingue il bene dal male.
Questo lo sa bene il protagonista Marco, che vive dentro e fuori il contrasto tra il bene e il male, compiendo, come spiega il regista Michele Alhaique, due evoluzioni contrarie l’una all’altra, quella sociale e quella interiore: più Marco entra nel mondo criminale, più il suo mondo interiore si va disgregando.
Un progetto che ha visto la sua realizzazione nell’arco di due anni, quattro puntate che lo stesso Alhaique definisce un “crescendo avvincente”, Solo parte da una base poliziesca, che da sempre ha affascinato il regista: è il racconto dell’individualità, attraverso il punto di vista del protagonista. Insieme a Marco Bocci, il cast artistico si compone tra gli altri anche di Peppe Mazzotta, che il grande pubblico ha conosciuto grazie al personaggio dell’ispettore Fazio nella serie tv Il Commissario Montalbano e che già in Anime Nere di Francesco Munzi del 2014 aveva affrontato il tema della ‘Ndragheta e Renato Carpinteri, che riesce a dare al personaggio del Don Antonio spessore e umanità, senza cadere nella banalizzazione, a volte facile, del boss criminale.
Questa serie è nell’intento di chi vi ha partecipato, sia a livello artistico che tecnico, non soltanto uno spunto di riflessione nei confronti di un problema che affligge da anni il nostro Paese, e che influenza il modo di pensare e di agire in tutti gli ambiti, anche quelli legali, ma è anche un modo per far sì che il territorio della Calabria, con tutta la sua potenza visiva, possa essere raccontato sia attraverso la serialità del piccolo schermo che attraverso il cinema.
Anna Quaranta