Si è aperta la nuova edizione della più nota rassegna d’arte contemporanea della capitale. La Quadriennale d’Arte Contemporanea di Roma è visibile al Palaexpò di Via Nazionale. La mostra, con novantanove artisti e 150 opere, offre al visitatore un patrimonio di possibili chiavi di lettura dei nostri tempi e delle loro narrazioni.
La rassegna, che arriva ben sei anni dopo l’ultima esposizione, si presenta vibrante di talenti ed emozioni, è curata con attenzione da ben undici critici molto attivi e composta di noti artisti del ‘900, ma anche da un nutrito gruppo di giovani, spesso già affermati in Italia e non solo.
In questo caso, data la specificità del tema contemporaneo, mi sono affidata per capire meglio le istanze e le espressioni proposte, a una guida eccezionale: un giovane artista di Brescia, che attualmente vive a Parigi, si tratta di Andrea Morbio. Andrea, molto cortesemente si presta a farmi da Caronte e Virgilio, in questa visita nei gironi complessi e a volte misteriosi dell’esposizione.
L’intervista/ visita che segue, quindi, rivela luoghi maggiori e minori dell’espressione artistica italiana visti dall’interno da un addetto ai lavori e soprattutto raccontati con la freschezza e l’immediatezza di un percorso “dal vivo”.
“ – Partiamo subito, – inizia Andrea – da un’opera datata, realizzata da un artista nato nel fatidico 1914, parlo di Emilio Villa, con la sua scritta in greco su un frammento di vetro, nel quale vediamo l’immagine di una vergine. Emilio Villa è stato un personaggio cruciale della scena artistica tra gli anni ’50 e ’70, avendo come allievi anche artisti importanti come Claudio Parmiggiani ma anche un famoso antropologo italiano, che insegna a Parigi, Carlo Severi.
Entriamo ora fisicamente attraverso l’immagine di un baro stampata su tela e tagliata a listelli a mo’ di tenda: un bel lavoro di Diego Tonus, che ha trovato delle immagini fotografiche in un archivio privato friulano, immagini risalenti alla vita quotidiana dell’Italia settentrionale negli anni’30. Entrando attraverso questo baro ci immergiamo poi nello spazio ben curato da Simone Frangi che ha fatto costruire due stanze in legno indipendenti, nella prima, che viene ribattezzata la sauna, troviamo uno spazio per la lettura di alcune pubblicazione di diversa natura, tra queste: Paesaggio, rivista ideata dal gruppo veneziano Blauer Hase, in cui degli artisti visivi sono invitati a comporre dei testi senza l’ausilio dell’immagine; un libro del fotografo Armin Linke insieme a Vincenzo Latronico che ripercorrono un viaggio in Etiopia e un libro d’artista composto da Danilo Correale.
Nella seconda stanza c’è un cinema, nel quale avrei tanto voluto vedere la proiezione dell’ultimo film di Giulio Squillacciotti che insieme all’antropologa Camilla Insom ha documentato i rituali degli Zar, popolazione d’origine africana che era stata portata nel golfo persico in schiavitù; non avuto modo di vederlo, peccato!
Adesso è l’ora di dare una sbirciata alla performance di Marcello Maloberti, quella del biondo giovinetto che ritaglia centinaia d’immagini stampate su carta.
Nella sezione curata da Michele D’Aurizio invece, vediamo un cartone animato di Diego Marcon, che ha realizzato con acquerello l’immagine di un giovane e l’ha ripreso con una cinepresa 16 mm. Diego sta lavorando da tempo sulla possibilità di creare nuovi personaggi, come il suo Dick Stick, un militare che torna dalla guerra. Lui è un artista che vuole avere la possibilità di controllare tutte le fasi di produzione di mezzo cinematografico, cinema come atelier d’artista e non come industria.
Poi ci siamo io (Andrea Morbio) e Riccardo Giacconi, con Simone Pianetti (1858-?), con i fondali dipinti dello spettacolo Il vendicatore del burattinaio Giacomo Onofrio. Una storia di vendetta del 1914, in cui un ex emigrante tornato dagli Stati Uniti cerca di aprire alcune attività nel suo paese d’origine ma cade in miseria e uccide le autorità comunali che l’avevano ostacolato. Da notare che i fondali che esponiamo sono stati dipinti negli anni ’40 e la tela grezza è ricavata dai teloni che ricoprivano i treni merci della Wermarcht, l’esercito nazista.”.
Queste e molte altre suggestioni, quelle che troviamo in questa bella mostra oltre gli schemi, che merita un’attenzione particolare, una visita approfondita, oltre a un’osservazione emotiva e nel contempo razionale ma anche e soprattutto con un cuore libero da preconcetti.
Data la gran quantità di artisti e dei messaggi si può approfondire in questo link.
Fino all’8 Gennaio 2017
Alessandra Cesselon