Edward Snowden chi è esattamente? Una spia, un patriota oppure un prigioniero politico? L’eco di questo nerd dell’informatica legato alla CIA e alla National Security Agency (NSA), del suo clamoroso scacco all’intelligence americana nel furto e nella diffusione di documenti che provano come gli Stati Uniti abbiano spiato e possano accedere in rete senza problemi non solo nella vita di terroristi e oppositori politici ma in qualsiasi esistenza globale, è decisamente andato nel dimenticatoio dei media e dell’opinione pubblica.
Oliver Stone centra un’operazione di recupero e diffusione massificata della vicenda, mettendo in piedi una pellicola che, grazie alla sagace mescolanza di realtà e finzione, parla a tutti e coinvolge, ci rende attivi interlocutori dell’esperienza del nostro protagonista. Su Snowden qualcun altro ne aveva già diffuso il racconto per immagini in ‘presa diretta’: la film-maker attivista Laura Poitras con Citizenfour (Oscar miglior documentario 2015), ci mostra com’è nato realmente il caso. Snowden aveva scelto proprio lei quale primo contatto per diffondere al mondo le sue scoperte. Citizenfour filma questo incontro ad Hong Kong nel Mira Hotel, rifugio del nerd dissidente. Le immagini delle sue rivelazioni, alla presenza, oltre che di Snowden e della Potrias, del giornalista investigativo Glenn Greenwald e del reporter di intelligence del The Guardian Ewen MacAskill, spiazzano certo, ma si fermano a ciò che mostrano, in una riflessione che indubbiamente allarga il campo, coinvolgendo il prima e il dopo del monitoraggio-spia statunitense, ma che mancando di una narrazione cinematografica, hanno la valenza emotiva di uno scoop giornalistico. Lo stesso entourage di Snowden pare essersene accorto col passare del tempo: il suo avvocato russo Anatoly Kucherena ha contattato il produttore di Stone proponendogli la trasposizione cinematografica della versione romanzata della storia da lui scritta. Stone è volato a Mosca ad incontrare Snowden di persona… Così tutto è cominciato.
Opzionato al libro di Kucherena anche The Snowden Files, del corrispondente del The Guardian Luke Hardinge, Oliver Stone ha voluto nel lavoro di sceneggiatura il talento emergente Kieran Fitzgerald e ha deciso per la prima volta un film completamente in digitale, su indicazione del direttore della fotografia inglese Anthony Dod Mantle (davvero egregio il suo lavoro, visto che i miei occhi non se ne sono accorti). Con un cast all’altezza, poggiato da una blindata (un po’ troppo) interpretazione di Joseph Gordon-Levitt, veniamo accompagnati nell’evoluzione personale e politica del giovane Edward Snowden, gran patriota e sostenitore del governo americano. Arruolatosi nell’esercito, puntando ad entrare nei corpi d’élite delle Forze Speciali e a combattere in Iraq, durante l’addestramento viene messo fuori gioco da un grave incidente. Il giovane decide allora di sostenere il suo paese intraprendendo una carriera prima nella CIA e poi nella NSA (National Security Agency). Il suo talento per l’informatica lo porterà ad ottenere incarichi sempre più delicati e a constatare come, tramite internet, la patria da sempre amata stava mettendo in piedi un’arma di controllo e ricatto basata sulla raccolta incondizionata e globale di dati personali. Constatiamo con orrore che gli Usa sono in grado di arrivare a ciascuno di noi con una semplice ricerca per parole chiave. Google, Skype, Facebook, mail… Basta una parola chiave per avere un elenco di chi l’ha usata in una chat, in una mail. A chiunque, anche a me potrebbero arrivare se la scrivo e la pubblico o la lascio nell’hard disk. E tramite me, potrebbero raggiungere tutti i miei contatti, e tramite i miei contatti, i contatti dei contatti… Constatiamo con estremo stupore che si è in grado di poter vedere cosa fa una persona da una webcam di un portatile spento ma con lo schermo non abbassato…
La forza di Snowden è l’aver dato forma visiva e narrativa a ciò che il suo protagonista ha vissuto, a come l’abbia scoperto, a come la sua esistenza sia cambiata, al conflitto vissuto con se stesso e con la sua donna. Stone ha umanizzato una vicenda troppo distante fino a quel momento dalla storia di un uomo di fronte al potere, l’ha resa attraente, dinamica. È riuscito a spiegare i meccanismi di controllo dell’intelligence americana, è riuscito a dare spessore al pericolo che Snowden ha immediatamente riconosciuto. È riuscito a farci capire come il potere e le dinamiche politico-sociali si giochino oggi soprattutto attraverso la rete. Lindsay Mills, la compagna di Snowden incarnata da una convincente Shailene Woodley, è il suo alter ego, più libera, più anticonformista, ma più ‘normale’: lo specchio emotivo che ha accompagnato l’evoluzione interiore di Snowden, il subplot intimo che funziona e che avvolge la materia della storia. Stone ha controllato senza problemi il materiale a disposizione, con la sua solida esperienza di cantore visivo ed indipendente di momenti fondamentali della storia e della cultura americana. Tutti, me compresa, sono usciti dalla proiezione eccitati, indignati e a suo favore.
Maria Cera