Sinossi: Ben vive con la moglie e i sei figli, isolato dal mondo nelle foreste del Pacifico nord-occidentale. Cerca di crescere i suoi figli nel migliore dei modi, infondendo in essi una connessione primordiale con la natura. Quando una tragedia colpisce la famiglia, Ben è costretto suo malgrado a lasciare la vita che si era creato, per affrontare il mondo reale, fatto di pericoli ed emozioni che i suoi figli non conoscono.
Recensione: A uno sguardo superficiale e non particolarmente attento potrebbe apparire un lavoro grossolano, una commedia leggera con tanti difetti, diversi eccessi e a tratti poco credibile, l’ultimo film di Matt Ross appena proiettato alla Festa del Cinema di Roma, ma se ci si immerge nella visione predisponendosi con una certa spensieratezza a una modalità di comunicazione variopinta e goliardica i difetti sono sempre manifesti, eppure salta all’occhio quanto sia in realtà un lavoro sincero e autentico, quanto i suoi colori, la sua vitalità, la profondità e la forza di ciò che vuole trasmettere, lo rendano invece un’opera di slancio, sentita, di valore non trascurabile, oltre che godibilissima. Il film, presentato per la prima volta al Sundance Film Festival, ha ricevuto numerosi encomi, meritando il premio per la Miglior Regia a Cannes, nella sezione Un certain regard.
Viggo Mortensen, che da solo contribuisce in gran parte al valore assoluto del film, conferma dopo The Road (2009) di essere perfettamente a suo agio nel ruolo paterno che gli si addice particolarmente. La riuscita del suo personaggio risiede anche nel fatto che si tratta di un uomo particolarmente profondo e accurato nel rendere i suoi ruoli quanto più veritieri e credibili possibile. In una delle tante interviste cui si è prestato durante il festival, alla domanda su come si fosse preparato per questo ruolo, ha risposto che normalmente si chiede cosa sia successo al suo personaggio prima della pagina 1 della sceneggiatura, chi sia stato, cosa abbia fatto, cosa lo ha reso come è stato scritto. E che quando lavora con un regista che glielo consente (che è il caso di Matt Ross), questo gli permette di fare delle ricerche su di lui, di leggere i libri che può aver letto, di entrarvi in confidenza sino a farlo proprio.
Così, lo ritroviamo padre di sei figli, uno più bello dell’altro, deciso a crescerli in modo del tutto atipico, con principi educativi estremi che richiamano menti illuminate come Chomsky o Platone, vivendo insieme a loro nei boschi, allenando il loro corpo ad essere forte e resistente, dando fondamentale importanza sempre e comunque alla loro cultura istruendoli personalmente e mettendo drasticamente in discussione qualsiasi forma di vita moderna, qualsiasi cosa significhi massificazione o allontanamento da una crescita in cui al primo posto sta l’autoconsapevolezza e l’unicità individuale.
In realtà, oltre a non essere per niente una commedia superficiale come può sembrare e al di là del fatto che ci siano diversi momenti in cui certi aspetti sono tanto esasperati che il risultato è che perdano di incisività e di efficacia (ci si riferisce per esempio a scene come quella della partenza in pullman, quella del supermercato e forse anche quella della cremazione), Captain Fantastic tratta di temi complessi e insidiosi come l’educazione di un figlio, l’essere genitore nella realtà attuale e le infinità di ostacoli spinosi davanti ai quali si trova inevitabilmente chiunque decida di mettere al mondo dei figli, in qualsiasi modo scelga di agire. Perché in fin dei conti non c’è un modo giusto di esserlo e qualsiasi azione avrà delle conseguenze sia positive che negative. Siamo tutti figli della nostra storia e necessariamente il risultato di come chi si è occupato di noi ha agito, di quello che ci ha trasmesso, di come ci ha amato e a prescindere dal fatto che un genitore faccia sempre e solo del suo meglio, agendo in base a quello che è convinto sia ciò che è più opportuno per i propri figli, è inesorabile la dura legge secondo la quale egli avrà sempre una responsabilità fondamentale sul risultato, comunque vada.
Matt Ross parte quindi da situazioni estreme, esasperandole a momenti ai limiti del ridicolo, per far emergere le contraddizioni insite nel crescere un figlio oggi nel mondo in cui viviamo, nel quale, da un lato il progresso e la globalizzazione allontanano sempre di più dall’autoconsapevolezza indebolendo enormemente l’individuo, dall’altro anche gli atteggiamenti che portano agli eccessi opposti, rifiutando drasticamente qualsiasi forma o derivato di quel progresso, rendono un bambino e poi un adolescente altrettanto impreparati ad affrontare la vita in quanto privi di alcuni strumenti di cui gli altri sono in possesso, e soprattutto in quanto esseri sociali dovranno vivere in mezzo ad altre persone che avranno sempre bisogno di loro, del loro affetto, della loro considerazione e del confronto con loro più di qualsiasi altra cosa, che non potranno mai farne a meno, e con questo dovranno sempre fare i conti.
Quindi, sarà anche impossibile, è sbagliato che un padre possa far vivere i suoi figli in un bosco, possa far maneggiare loro delle armi sin da piccolissimi, li metta in pericolo continuamente facendogli scalare le rocce a strapiombo, sarà sbagliato che non li mandi a scuola insieme agli altri ragazzi, che li tenga lontani dal mondo rendendoli dei fenomeni da baraccone in qualsiasi situazione sociale dovessero trovarsi, ma se è lo stesso padre che ti insegna a leggere e lo fa in modo condiviso cosicché tutti insieme si legga di notte davanti al fuoco, in silenzio, e a un certo punto si mette a suonare la chitarra e tutti i figli, a uno a uno, si uniscono a lui, ognuno con uno strumento diverso, che contribuisce a creare un’unica melodia, insieme; se è lo stesso che inventa un nome solo per te, che avrai solo tu in tutto il mondo, perché possa sentirti e sapere sempre che sei unico, lo stesso che quando hai qualcosa da obiettare sulle sue regole ti dice “facciamo un discorso, e se con le tue argomentazioni ci convincerai che quello che pensi è più valido allora cambieremo la regola”; se è quello che ti dice che la parola “interessante” è una parola che non va usata perché si allontana troppo da te e da quello che senti o che pensi, che se devi parlare di un libro che hai letto ti chiede di non parlargli della trama ma di dirgli cosa ne pensi tu, come ti ha fatto sentire, che non ti mente mai ma pensa che qualsiasi cosa possa essere spiegata a un bambino se lo si considera un individuo mentale al suo pari, e allora qualsiasi domanda merita una risposta sincera, sesso, morte, economia, qualsiasi argomento può essere condiviso; e soprattutto se è lo stesso che dirà a un figlio maschio che sta prendendo la sua strada:
“Quando fai sesso con una donna, sii gentile
e ascoltala
trattala con rispetto e dignità
anche se non la ami
Dì sempre la verità
Prendi sempre la strada maestra
Divora la vita
Ricerca il rischio, sii audace ma assaporala
La vita passa in fretta.
E non morire”
beh, parafrasando in modo speculare la frase pronunciata da Viggo Mortensen alla fine del film, sarà anche un errore, ma è pur sempre un bellissimo errore.
Roberta Girau