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Festival di Roma

Festa del Cinema di Roma: Sing Street di John Carney (Alice nella città)

È di provenienza irlandese, una delle sorprese presentate all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella seziona Alice nella città. Una di quelle piccole grandi scoperte che si fanno per caso, quando si entra in sala senza nessuna aspettativa. E invece ci si ritrova davanti a qualcosa di inaspettato e prezioso, come quando capita scartare un pacchetto inatteso, un piccolo dono straordinariamente vitale e pieno di energia positiva, fresco e capace di coinvolgere con deliziosa leggerezza

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È di provenienza irlandese, una delle sorprese presentate all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella seziona Alice nella città. Una di quelle piccole grandi scoperte che si fanno per caso, quando si entra in sala senza nessuna aspettativa. E invece ci si ritrova davanti a qualcosa di inaspettato e prezioso, come quando capita scartare un pacchetto inatteso, un piccolo dono straordinariamente vitale e pieno di energia positiva, fresco e capace di coinvolgere con deliziosa leggerezza.

Your problem is that you’re not happy being sad” (Il tuo problema è che non sei felice essendo triste).

Una piccolissima frase apparentemente banale per un’enorme, gigantesca verità, che può essere considerata il pilastro emotivo sul quale si costruisce questo film,  espressa con delicatezza e profondità da una ragazza incredibilmente luminosa, la protagonista, interpretata dalla bellissima e ipnotica ventiduenne Lucy Boynton. Saper convivere  ed essere in sintonia con vissuti emotivi drammatici e leggeri, positivi e negativi, tristi e felici, accogliendoli, accettandone il flusso imprevedibile e soprattutto acquisendo la consapevolezza che gli uni non escludono gli altri, che possono essere assolutamente contemporanei e addirittura riferiti allo stesso oggetto, è il messaggio più bello che viene trasmesso dal delicato e dolcissimo quinto lungometraggio di John Carney, dopo i già notevoli Once e Tutto può cambiare.

Carney si avvale di una trama neanche così originale e la sviluppa in una struttura piuttosto lineare, non particolarmente complessa, che a tratti ricorda tante altre pellicole, basti pensare, solo per citare i primi che tornano in mente, a film come About a boy (2002) di Chris e Paul Weitz o Un sogno per domani (2000) di Mimi Lader, lavori altrettanto validi che trattavano entrambi, come Sing Street, di un adolescente timido, disagiato, con problemi familiari e perseguitato dai bulli della scuola, che trova la forza di affermarsi dando valore al suo slancio creativo, affettivo e personale, cosa che risulta essere possibile solo quando questo slancio viene condiviso.

In qualche modo, per quanto il film sia profondamente diverso, è un tema che si ritrova anche nel bellissimo La La Land, recentemente presentato alla Mostra di Venezia e pluripremiato sia a Venezia che a Toronto, che non parla di un adolescente, ma nel quale il tema dell’affermazione di se stessi espresso attraverso l’arte e la musica, associato alla necessità di una condivisione affettiva intensa, è assolutamente un fattore che può indurre a vedere delle analogie con l’ultimo lavoro del regista irlandese. Ma il fatto che vi siano degli aspetti tematici già ampiamente trattati non rende in alcun modo Sing Street meno pregevole, né ne sminuisce minimamente il valore, considerato che Carney ha una modalità caratteristica e del tutto personale di metterli in scena. La musica, ingrediente fondamentale, fa al contempo da fluidificante, rendendo omogenei i vari segmenti narrativi e costituendone il filo conduttore e da catalizzatore dei vissuti emotivi dei suoi personaggi, qualunque connotazione essi abbiano, scandendo ogni momento significativo e conferendo loro in modo naturale vigore e personalità. Così, sin dalla prima scena, diventa un compagno affettivo che copre le urla dei genitori, il pozzo di sensazioni che si provano a condividerne la creazione con un amico, un conforto nei momenti più duri che accompagna la solitudine rendendola tollerabile e sintonica, fonte principale di benessere a prescindere dagli eventi.

Carney sfrutta poi quel filone particolarmente prolifico che ha preso piede in modo decisamente considerevole nel cinema e nelle serie tv di questo periodo, la rivisitazione degli anni ’80; si pensi, tra gli altri ai recenti Stringer Things o Everybody wants some di Richard Linklater. Quegli anni, tra citazioni, stile di vita, look e musica, sono praticamente una scatola dei balocchi per un autore di oggi, rappresentando effettivamente una fonte quasi illimitata di elementi che sono già stati dotati di grande forza caratterizzante e di un enorme potere trascinante, forse più di qualsiasi altro periodo, e ne erano talmente pregni da aver mantenuto l’energia, l’affettività e lo slancio che, anche rievocati, li rendono ancora estremamente efficaci, soprattutto tra le giovani generazioni, in una realtà attuale che scarseggia di entusiasmo.

I rimandi a Ritorno al futuro sono una specie di coccola per chi ha vissuto quegli anni e un input per chi non li ha vissuti ma può goderne attraverso le opere che li hanno contraddistinti. Ne è un esempio la bellissima la scena del video nella scuola, che assume una potenza visiva e sensoriale contagiosa come a voler illuminare una realtà spenta e grigia, che ha bisogno di stimoli e li ritrova nel passato. Realtà che nel film è rappresentata da una Dublino degli stessi anni, lontana e ancora arretrata rispetto a quella vitalità, dalla quale i giovani scappano per trovare motivazione, fortuna e lavoro a Londra, sognano e mitizzano gli Stati Uniti, ma che può tranquillamente essere sovrapponibile a quella attuale, quasi chiudesse un cerchio nel quale l’aver esplorato, sperimentato e fatto propri quei miti, alla fine dei conti, ha riportato allo stesso punto, alla stessa ricerca, che ora viene rivolta al passato.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati e si muovono in modo autentico e credibile interagendo tra loro e riuscendo a rappresentare efficacemente le diverse dinamiche relazionali in cui sono inseriti. Molto bella la dimensione familiare e in particolare il rapporto tra i due fratelli maschi, il protagonista e il fratello maggiore, tutti e due ottimamente interpretati da Ferdia Walsh Peelo al suo esordio e Jack Reynor; relazione nella quale sono perfettamente riconoscibili le due individualità, la cui unione e condivisione crea dei momenti davvero intensi.

Insomma, un insieme di ingredienti amalgamati sapientemente esitano in un prodotto veramente gradevole, che vale la pena gustare e non perdersi.

Roberta Girau

  • Anno: 2016
  • Durata: 106'
  • Distribuzione: Bim Distribuzione
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Irlanda
  • Regia: John Carney
  • Data di uscita: 09-October-2016