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DVD/Blu Ray

L’uomo che ride: Sergio Corbucci, la sua vita e il suo cinema in dvd

Narrato dalla voce di Massimo Ghini, è uscito in questi giorni in dvd il docufilm di Gioia Magrini e Roberto Meddi su Sergio Corbucci, L’uomo che ride. Manuele Berardi per l’occasione ci offre un bel ritratto del grande regista che ha attraversato il cinema italiano in lungo e in largo, regalandoci grandi film

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C’era una volta un bambino paffutello, sveglio, curioso, vestito da balilla, ghiotto di barrette di cioccolata avvolte in carta tricolore.  Erano gli anni del ventennio fascista, dittatura, regole ferree e, sposando una ormai vecchia leggenda tutta italiana, “treni che arrivavano in orario “, proprio come quello del Fuhrer in visita per la prima volta in una Roma, che per l’occasione veniva riaddobbata a festa, ripulita, teatralmente rinfrescata, come in un venturo peplum degli anni ’50; si, perché in vista dell’arrivo di Adolf Hitler, in giro per la capitale poteva essere alquanto semplice incappare in colonne e pannelli di gesso e cartapesta, insomma, una tipica scenografia nello stile cui Cinecittà ci avrebbe poi abituati. Ma torniamo a noi, al bambino paffutello e goloso di barrette di cioccolata, di cui, proprio nel giorno dell’incontro fra Hitler e Benito Mussolini, aveva fatto incetta; se ne stava lì, in fila alla stazione insieme ad altri infanti tutti tirati a puntino e schierati in fila dal capo cordata per l’imminente arrivo del leader tedesco. Il piccolo non era per nulla agitato, anzi, viveva il momento con spontanea non curanza e non fu quindi a causa di una botta di emozione se il giovanotto iniziò ad avvertire un fastidioso brontolio alla pancia culminato in un poderoso sconquasso intestinale, proprio nel momento dei convenevoli fra i due dittatori. Sì, avete capito bene, in parole povere, quel bambino goloso e vestito da balilla si cagò quasi addosso proprio davanti ad Adolf Hitler e Benito Mussolini, dopo una rimpinzata di cioccolato, ritrovandosi, così, in un serio, eppure spassosissimo, guaio, il primo della sua esistenza. Un aneddoto, questo, assurdo, irriverente, quasi cinematografico, ma se si pensa che quel bambino rispondeva al nome di Sergio Corbucci, beh, tutto torna. Ebbene sì, il piccolo era il futuro regista Sergio Corbucci e aveva otto anni quando se la fece addosso durante un momento che oggi, nel bene e nel male, definiremmo storico.

Con questo curioso incipit, narrato dalla voce di Massimo Ghini, ha inizio il docufilm di Gioia Magrini e Roberto Meddi su Sergio Corbucci, intitolato L’uomo che ride. Documentario che si pone l’obiettivo di ripercorrere le tappe fondamentali della vita umana e professionale di uno dei registi più prolifici, brillanti, guasconi e veraci del dopo guerra italiano. Un atto d’amore genuino verso un uomo che ha saputo evolversi e distinguersi con disinvoltura e divertimento dai primi melò degli anni ’50 ai peplum, passando per la commedia, il giallo grottesco e gli amati western, il genere che da sempre prediligeva e con il quale, sappiamo, si sia tolto più di qualche soddisfazione.

Il docufilm è breve, appena ’54 minuti di durata e scorre via con piacere mentre si ascoltano tutti i divertenti aneddoti raccontati dai vari personaggi, amici, colleghi, che gentilmente si sono prestati a rivivere le gesta di questo autentico regista pop, perennemente attento ai gusti del pubblico, grande confezionatore di film, ilare collaboratore e bonario imbonitore di produttori, tanta era la sua voglia di stare sul set e di avere per le mani nuovi progetti pronti a partire. La Magrini e Meddi affrontano la vita e la carriera di Sergio Corbucci con indulgenza e gentilezza, si affidano a rari filmati di repertorio e alle ricostruzioni della fedele moglie Nori, compagna del regista praticamente per un’intera vita, della collega Lina Wertmuller e degli attori Franco Nero e Giancarlo Giannini tutti divertiti e invogliati nel ricordare quanto Corbucci fosse un regista stakanovista, amabile e per nulla ossessionato dal suo status di cineasta. Non era uno di quelli che ambiva a fare il film della vita, non aspirava al cinema d’impegno o all’elucubrazione intellettuale, lui amava il cinema e basta, sapeva e voleva far divertire, non si curava del fumo, badava all’arrosto. Questo non equivale a dire che fosse un regista sciatto o poco incline alla qualità, tutt’altro, badava molto al risultato finale e all’eleganza anche solo formale del suo cinema, inoltre aveva una cultura cinefila che spaziava da autori quali Raoul Walsh all’intramontabile John Ford, fino ad arrivare al cinema orientale, possedeva un suo stile e una sua estetica, forse non sempre espressi a pieno, impossibilitato dai molteplici generi e progetti abbracciati nella sua lunga filmografia.

Sergio Corbucci

Senza dubbio Corbucci il suo massimo splendore ha potuto raggiungerlo, come dicevamo pocanzi, con il western, lo spaghetti western, di cui insieme a Sergio Leone veniva e viene tuttora considerato il padre fondatore: pellicole quali Django, il suo titolo più cult, Navajo Joe con un giovanissimo Burt Reynolds, Minnesota Clay, opera addirittura precedente a Per un pugno di dollari ma meno incisiva a livello mondiale, I crudeli con Joseph Cotten, Il Mercenario con la coppia Franco Nero, Tony Musante e la partecipazione di Jack Palance, il brillante Vamos a matar companeros e soprattutto Il Grande Silenzio, innevato western crepuscolare, violento e pessimistico con Jean-Louis Trintignant e il mefistofelico Klaus Kinski, autentico capolavoro della sua carriera e di un intero genere, nel quale il regista poté sentirsi pienamente libero di sperimentare e improvvisare un’epopea malvagia e del tutto fuori dal tempo, popolata di uomini privi di valori morali, mossi solo dal Dio denaro. Il film è quasi all’unisono considerato il più rilevante e personale di Corbucci, il quale ne andava molto fiero, e anche la Magrini e Meddi tentano di sottolinearlo con accurata perizia, narrando come in verità la trovata del pistolero muto, poi interpretato da Trintignant, fosse dell’insospettabile Marcello Mastroianni, da sempre attratto dall’ipotesi di interpretare un western, nonostante fosse poco padrone della lingua inglese; da qui, dunque, l’idea di un pistolero silenzioso che, l’attore italiano avrebbe potuto interpretare senza problemi. Non se ne fece nulla, ma il progetto restò a galla, per fortuna.

L’excursus del docufilm procede poi con l’avvicendamento di Sergio Corbucci con la commedia drammatica di Che c’entriamo noi con la rivoluzione e Il bestione e il giallo/ grottesco regionale con l’accoppiata La Mazzetta, interpretato da Nino Manfredi e Ugo Tognazzi e Giallo Napoletano con Mastroianni, Peppino De Filippo e Renato Pozzetto. Tutti film che nuovamente contribuiscono a far emerge il totale eclettismo del regista capitolino e della sua caparbia devozione verso la settima arte, un lavoro che amava e lo gratificava sia dal punto di vista personale che monetario, moltissimi dei suoi film incassavano fior di milioni, costantemente in cima ai box office. Non perdeva colpi il buon Corbucci, la sua mente era sempre attraversata da un’idea o da un soggetto da presentare a qualche produttore e quando non l’aveva era capace di inventarselo lì per lì pur di strappare un contratto, roba da veri maghi dello show business, da navigati conoscitori dell’ambiente e da cinici romantici del cinema. Sì, perché Sergio Corbucci visse appieno la migliore stagione di cinema che il nostro paese ricordi, quella degli anni ’60, i tempi della Hollywood sul Tevere, quando Cinecittà brulicava di grandi set e via Veneto faceva da splendida cornice per lo struscio dei divi americani, tanto da soprannominarla -The Beach-, e poi quella dei più complessi anni ’70, del cinema più spinto e violento, grazie proprio all’esplosione dei generi.

In L’uomo che ride, dunque, viene resa giustizia, seppur in breve tempo, e se ci è permesso dirlo, ad un grande artigiano dell’industria cinematografica italiana, ne emerge un uomo gioioso e un regista giocoso, pieno di risorse e di voglia di raccontare senza nessun desiderio di pendersi sul serio, senza nessuna spocchia autoriale, lontano anni luce dall’artistoide tormentato, un vulcanico confezionatore di buone pellicole con alcune punte assai notevoli e memorabili. Uno di quelli che a tutt’oggi resta un punto fermo dei palinsesti televisivi, uno di quei registi di cui, anche non avendolo presente in termini fisionomici, potremmo giurare di aver visto uno o più suoi film. Per chi scrive, in special modo, Sergio Corbucci ha rappresentato una sorta di carpentiere della propria cinefilia, uno di quelli che fin dall’infanzia ha forgiato e saputo alimentare una passione, film dopo film, senza nessuna cognizione di causa, ma solo con la spensieratezza genuina di abbandonarsi alla goduria di un cinema di qualità, al di là dei cosiddetti e tanto odiati asterischi e palline.

Sergio Corbucci L’Uomo che ride è disponibile in dvd dal 12 ottobre.

Manuele Bisturi Berardi