“L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso. […] La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto”.
Le parole di Zarathustra paiono le più adatte a tracciare un percorso che in questa epoca sembra essere giunto alla sua seconda fase, quella che ha visto la liberazione dal fardello originario di un debito infinito che fatalmente incombeva, e in cui si mette in crisi, distruggendolo, un sistema di valori che informa l’agire umano (prima di giungere a quella trasvalutazione operata dal ‘fanciullo’).
Bertrand Bonello fotografa con gelido distacco ed esattezza entomologica questo drammatico stadio, in cui l’unica azione consentita è quella di demolire tutto ciò che si pone come ostacolo alla gioiosa affermazione della vita che si compie nel ciclo dell’Eterno Ritorno (la doppia affermazione, diceva Deleuze spiegando Nietszche, il “divenir attivo delle forze”). E, dunque, assistiamo proprio alla rigorosa messa in scena di un gesto di distruzione radicale, portato fino in fondo, e seguiamo, scanditi da un riferimento dell’orario che appare più volte in sovraimpressione sullo schermo, i preparativi che un gruppo di giovanissimi compie, dopo aver architettato un elaborato piano, per mettere a ferro e fuoco la città (Parigi), colpendola in alcuni suoi punti sensibili (il ministero dell’interno, la sede di una grande multinazionale, e altri obiettivi simbolici). Bonello, all’inizio del film, si concentra sulla realizzazione degli attentati, che viene rappresentata per intero, facendo immergere lo spettatore in un divenire, un farsi, che prepara un esito dirompente, e in tal modo, si fa, come raramente accade al cinema, esperienza della differenza aristotelica tra atto azione, anzi, abbracciando la questione megarica (i megarici notoriamente negavano la realtà della potenza) si potrebbe dire che il lungo prologo di Nocturama acquisisce senso solo in virtù dell’effettiva concretizzazione successiva.
Sgomenta, fino a un certo punto, la totale assenza di qualsiasi ideale politico del gruppo ‘terroristico’, giacché ciò che lo muove è una posizione filosofica, ovvero la certezza di vivere un momento di totale degenerazione e decadenza che richiede una sorta di accelerazione, ovvero di trovare nella morte, nella fine (nel tramonto?), la naturale evoluzione di un periodo stagnante che opprime, senza far intravedere prospettive liberatorie. Bisogna soffermarsi sulla maestria con cui Bonello mette meticolosamente in scena l’azione; non c’è premessa (solo successivamente qualche sparuto flashback), non c’è il ‘discordo sul fare’, che avrebbe imbolsito l’insieme e non aggiunto alcunché, laddove è proprio l’atto ciò che merita tutta l’attenzione, quell’atto che come diceva C.B. “è lo s-progetto dell’azione nello smemoramento di sé”, è solo in esso che confluisce tutto il flusso vitale che altrimenti verrebbe disperso nello sproloquio quotidiano fatto di chiacchiera, curiosità, equivoco. Tra l’atto e l’azione cade l’ombra. Ecco Bonello fa l’impossibile, neutralizza la contraddizione dell’ossimoro e, magnificamente, ‘illumina l’ombra’, ciò che è sempre sottratto allo sguardo, ma non per il gusto di svelare, di rappresentare, di dare corpo a tutti i costi all’invisibile, piuttosto per sprofondarvi, calandosi in un abisso di tenebre, in un buco nero (nel Reale?), liberando una selva di significanti che contesta l’ordine simbolico in cui regna la Legge del significato.
I ragazzi di Bonello sono ingenui, teneri, pieni di sentimento, non pianificano una fuga, non vogliono salvarsi, non sono armati, e arrivano al paradosso di rifugiarsi, dopo le esplosioni, in un centro commerciale nel cuore della città, in cui giocano, deridono la logica del consumo, producendosi in simpatici siparietti (il ragazzo truccato che canta My way di Frank Sinatra) che portano alle estreme conseguenze il solipsismo contemporaneo. Non desiderano veramente, o meglio ‘vogliono non volere’: insomma è l’ultima fase del nichilismo, quello ‘passivo’. La paura non li sfiora, se non un attimo prima di venir colti dal gelido soffio della morte, ma non si oppongono, stanno lì, aspettano senza difendersi, e in tal senso la regia di Bonello è efficace nel dilatare, a favore di chi guarda, il tempo dell’esecuzione, moltiplicando le prospettive e i punti di vista, non per esibirsi in un virtuosismo formale fino a se stesso, ma per restituire fino in fondo l’innocenza che innanzitutto e per lo più contrassegna gli animi dei protagonisti. Un film che scuote, fa riflettere, ammutolisce e che non mancherà di produrre vive polemiche (anche e soprattutto in riferimento ai recenti attentati verificatisi a Parigi).
Si badi beni che questa critica non intende avallare le tesi filosofiche sostenute dal film, ma un’analisi attenta non può sottrarsi al dovere di segnalare la profondità di alcune questioni che vengono affrontate con una sincerità che sconcerta.
Nocturama è senza dubbio, finora, una delle visioni più significative di questa undicesima Festa del Cinema di Roma.
Luca Biscontini