Opium Visions alza il tiro, e, dopo le prime interessanti due uscite, Maliziosamente e La jena di Londra, rilancia con Heartbreak Motel (1975), più conosciuto con il titolo di Poor Pretty Eddie, un film incredibilmente precipitato nell’oblio e eroicamente recuperato dall’etichetta emergente, mai come in quest’occasione degna di tutte le lodi del caso. Si, perché il film diretto Richard Robinson (qui nelle vesti di direttore della produzione) assieme al più noto David Worth è un’opera tutta intrisa di un’angoscia kafkiana che invade, soffoca, opprime lo spettatore, trascinandolo in un vortice da cui non ci si sottrae se non attraverso la violenza di un gesto finale che riequilibra le sorti di un destino fatalmente piombato sulla protagonista (Leslie Uggams), una cantante di colore che, per un guasto all’automobile, è costretta a fare tappa presso un alberghetto sito in una zona boschiva del sud degli Stati Uniti.
Emerge tutta la sottocultura di un popolo gretto, razzista, sessista, privo di qualsiasi riferimento morale, culturale, politico, dedito a un’esistenza spesa a ingozzarsi e tracannare birre alla spina in un qualche squallido locale. Bertha (un’inaspettata e ottima Shelly Winter, che qualche anno dopo avrebbe interpretato un ruolo assai significativo in Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, accanto ad Alberto Sordi) è la proprietaria del fetido motel in cui il suo giovane amante (Michael Christian) fa il bello e il cattivo tempo; sostenuto dall’attempata e alcolizzata signora, che vuole a tutti i costi tenerlo accanto a sé, Eddie accoglie l’ignara Liz, che vuole solo far riparare il guasto e riprendere quanto prima il suo viaggio. Comincia così un incubo senza fine, giacché il bell’imbusto le mette gli occhi addosso, e per farla sua compie tutte le più aberranti azioni (stupro, violenze psicologiche e fisiche, maltrattamenti vari). D’altronde il profondo sud degli Stati Uniti in cui Liz, suo malgrado, è precipitata, è un ambiente reazionario, anacronistico, non ci sono neri, e la sola vista di un forestiero innesca meccanismi di sopraffazione e violenza che animano l’intera comunità. Infatti, oltre alla bellezza di alcune trovate estetiche (le sovrimpressioni, i ralenti, il montaggio in alcune occasioni convulso e in altre alternato per evidenziare, come nella sequenza dello stupro, l’intollerabilità dell’azione che si sta svolgendo), Heartbreak Motel mette alla berlina non un solo personaggio ma un’intera cittadina, ed è in questo senso che l’impianto narrativo trasuda suggestioni kafkiane, laddove Liz per un peccato originale che grava su di lei (l’esser donna e nera), ma che giustamente ignora, si trova a dover subire una serie di soprusi ed, infine, un vero e proprio processo, in cui paradossalmente da vittima viene trasformata in carnefice e condannata a una pena che senza ragione le viene comminata. Non può scappare, ovunque essa si diriga trova una diffusa complicità che le impedisce di evadere da una situazione surreale, macabra, claustrofobica. Solo il salvifico intervento dello ‘strano del villaggio’ (quel Ted Cassidy, che tutti ricordiamo nel ruolo di Lurch ne La famiglia Addams) le consente di interrompere una concatenazione di insopportabili eventi, ma, soprattutto, deve essa stessa, con un ultimo, disperato, e a quel punto inevitabile gesto, porre fine alla tragedia.
Insomma, sono davvero molte le suggestioni provocate dalla visione di questo interessante film, che intrattiene, nella misura in cui contiene al suo interno tanti generi molto in voga in quegli anni, quali horror, exploitation, blaxploitation, porno, etc, e, di contro, genera non poche riflessioni sulla struttura antropologica di una nazione che a metà degli anni settanta era ancora assai lontana dal possedere una fisionomia minimamente democratica (le black panther furono ancora assai operative in quel decennio e si sciolsero solo nel 1982).
Pubblicato e distribuito da Opium Visions, Heartbreak Motel è disponibile in dvd, in formato 1,85:1, con audio originale (inglese mono 2.0) e sottotitoli in italiano.
Luca Biscontini