Rivoluzionario sin dalla distribuzione Burma VJ non teme di sporcarsi le mani, anzi rimesta nella polvere come solo i più luridi spaghetti western con l’intento di lerciarsi alla stessa maniera in cui ha fatto e continua a fare la spietata dittatura Birmana.
Rivoluzionario sin dalla distribuzione (nel Belpaese ha goduto di una vera visione indipendente itineraria attraverso le città di Roma, Bologna, Torino, Udine, Pordenone, Firenze, Milano e Rovereto), Burma VJ non teme di sporcarsi le mani, anzi rimesta nella polvere come solo i più luridi spaghetti western con l’intento di lerciarsi alla stessa maniera in cui ha fatto e continua a fare la spietata dittatura Birmana. Il tristo leitmotiv che denuncia il film è chiaramente “lontano dagli occhi, lontano al cuore”. Una guerra parimenti feroce (se non di più) a molte altre urlate dai rotocalchi per interesse mediatico, colon trasverso dell’interesse economico cui si legano. C’è quasi da lodare il buon Silvester Stallone per aver scelto questa terra vessata dalla furia dittatoriale per il suo successo John Rambo, alla ricerca di un territorio fertile e vergine dove palesare il vero orrore. Non è bastato, o forse ha contribuito involontariamente a rendere tutto ancora più fantasia, ma ci vuole il regista Anders Østergaard per gridare al mondo lo sdegno verso il regime militare birmano. Intendiamoci, il regime mostra le sue ragioni in maniera sibillina e velatamente progressista, ma il limite a ciò che può essere considerato machiavellico viene oscenamente prevaricato. A differenza di Rwanda, Kosowo e Afganisthan, “l’odio più lungo” non è il motore delle stragi. Una ferocia territoriale taciuta, quasi accondiscendente, rende il tutto ancora più inconcepibile, se osservato attraverso l’occhio dello spettatore inconsapevole. La regia sceglie l’ultima spiaggia del condannato a morte: la preghiera. Sia la coscienza a spingere la lettura degli spettatori. Se ha senso spendere metri di pellicola per questo, può essere solo il non poter tornare a dormire il giorno dopo…indifferenti.
Gianluigi Perrone
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