Alicia vaga muta e silenziosa tra il Cile e la Bolivia, la natura è ora matrigna ora stupefacente. Nel viaggio nel paese delle (non) meraviglie il rumore dei suoi passi e del suo respiro affannoso si alterna ai ricordi dell’infanzia; alle manifestazioni tradizionali del suo villaggio. Ma che fa Alicia? No, non ha tempo per guardare i gatti. Ha tredici anni ed appartiene alla tribù Quechua (il principale gruppo etnico della tribù inca) e dal sud della Bolivia percorre, a piedi, 180 km, per arrivare a San Pedro de Atacama, nel nord del Cile, per trovare lavoro. Un film davvero ridotto all’osso, dove le vere protagoniste sono le stagioni che si alternano: il gelo della neve, l’arsura, e di nuovo l’inverno.
Lo sguardo del regista cileno è posato sugli sguardi spaesati e determinati di Alicia, e fino alla didascalia esplicativa finale, in realta’, non comprendiamo le ragioni di questo lungo viaggio. il percorso di Alicia e’ lo stesso di tanti altri migranti che dal sud attraversano un intero paese per giungere nel “ricco” e turistico nord. Un viaggio di iniziazione moderno, dove la meta, forse, non coincide con l’evoluzione della specie. Lorrain ha gia’ avuto modo di mostrarsi particolarmente attento alle problematiche della sua terra: nel 1998 gira il documentario “Patio 29” sui diritti umani in Cile;nel 2000 con “Ralco” mostra la resistenza di una comunita’ indiana alle pressioni di una compagnia elettrica. “Alicia en el pais” e’ il suo primo lungo di “finzione”.
La lotta stavolta si svolge tra immagini cartolinesche, e questo, certamente, non e’ detto che sia un demerito.
Natasha Ceci
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