In Sala

Go With Me

Go With Me è un film che non ha nulla di buono, a cominciare dallo script, che catapulta lo spettatore immediatamente in situazione, senza fornire una premessa adeguata che contestualizzi l’azione e, soprattutto, senza minimamente indagare le psicologie dei personaggi, che sono scaraventati sullo schermo, in preda a un movimento convulso e gratuito che non appassiona mai, neanche quando raggiunge il suo apice

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Sinossi: Lillian, una giovane donna da poco tornata a vivere nella sua città natale, una comunità di taglialegna ai limiti della foresta, è vittima delle persecuzioni di Blackway, un ex poliziotto diventato un potente criminale, libero di spadroneggiare impunemente in questo luogo ai confini della civiltà. Dopo essere stata abbandonata dagli abitanti, in particolare dallo sceriffo (che le consiglia di lasciare la città), Lillian decide invece di combattere il pericoloso stalker, grazie all’aiuto di un ex taglialegna e del suo giovane assistente, gli unici due uomini tanto coraggiosi (e folli) da mettersi contro Blackway.

Recensione:Ritengo che Go With Me sia simile a un western classico. In effetti, ha tutti gli elementi di questo genere. Persone buone e cattive. Un momento che rappresenta un punto di non ritorno per tutti i protagonisti. E non ci sono assolutamente situazioni concilianti. Sono sempre stato un grande ammiratore di Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Per come la vedo io, i nostri eroi si ritrovano vicini all’oscurità più totale. Ed è per questo che ho deciso di fare il film. Oltre ai quattro protagonisti, considero il territorio e gli ambienti in cui abbiamo girato (in Canada) come il quinto personaggio di Go With Me”.

Non si potevano omettere le parole che Daniel Alfredson utilizza per presentare il suo film, giacché mai come in questa occasione la premessa del regista appare oltremodo pretestuosa, quasi necessaria a colmare, con una dichiarazione d’intenti, la lacunosità lampante di un’opera, millantando parentele illustri che non fanno altro che amplificare la mediocrità del risultato raggiunto.

Chi scrive non ama stroncare, cerca sempre di mantenere la lucidità per cogliere ciò che di buono c’è in prodotti anche non particolarmente riusciti, ma la frizione causata dalla visione di Go With Me e l’introduzione al film di Alfredson provoca un’irritazione davvero difficile da contenere. Verrebbe voglia, come faceva Nanni Moretti in Caro Diario, di sedersi su una sedia accanto al suo letto e tormentarlo ripetendogli, parola per parola, quanto presuntuosamente affermato. Si, perché Go With Me è un film che non ha nulla di buono (a meno che non lo si voglia per forza vedere, attribuendogli meriti immaginari), a cominciare, chiaramente, dallo script, che catapulta lo spettatore immediatamente in situazione, senza fornire una premessa adeguata che contestualizzi l’azione e, soprattutto, senza minimamente indagare le psicologie dei personaggi, che sono scaraventati sullo schermo, in preda a un movimento convulso e gratuito che non appassiona mai, neanche quando raggiunge il suo apice (o meglio quando finalmente succede qualcosa, visto che per la maggior parte del tempo si assiste alla ricerca di un cattivo, che poi tanto cattivo davvero non sembra). È come se si annunciasse qualcosa che poi viene sistematicamente disatteso e si pretendesse che lo spettatore rimanga fedele a quanto promesso; la storia si snocciola stancamente fiaccando la pazienza di chi guarda, che alla fine, incredulo, si chiede come possa aver assistito a qualcosa di così insignificante, cercando disperatamente di trovare qualche appiglio che fornisca senso al tempo impiegato per la visione. Ma no, non c’è alcun dato che procuri valore a un’operazione fallimentare nel suo complesso, e dispiace per i pur valenti interpreti (Hopkins, Stiles e Liotta) che brancolano drammaticamente in un andirivieni noioso fino alla nausea. Pur non conoscendo la fonte letteraria, il romanzo omonimo di Castle Freeman Jr., chi scrive non esita a considerare disastroso il film di Alfredson, e non ha difficoltà ad immaginare che il testo d’origine sia assai più efficace della trasposizione cinematografica operata da Joe Gangemi e Gregory Jacobs.

“Un western moderno, Conrad, oscurità più totale……”: c’è in queste parole un disprezzo per il pubblico, ritenuto minus habens, e ancor di più il goffo tentativo di dare dignità, retrospettivamente, alla messa in scena di un’opera inequivocabilmente mal riuscita.

Che aggiungere, dunque? Tenetevene bene alla larga. Siate forti, non cediate neanche ai mercoledì a due euro. Sarebbe un errore fatale e non emendabile.

Luca Biscontini

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