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Le ultime cose

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Le ultime cose di Irene Dionisio, ora su Mubi primo lungometraggio della regista, è l’unico film italiano selezionato alla 31 ª edizione della Settimana della Critica. Il film porta sullo schermo una Torino racchiusa in quattro mura e raccontata attraverso gli occhi degli ultimi.

Trama

 Torino, banco dei pegni. Una moltitudine dolceamara impegna i propri averi, in attesa del riscatto o dell’asta finale. Tra i mille volti che raccontano l’inventario umano del nostro tempo, tre storie s’intrecciano sulla sottile linea del debito morale. Sandra, giovane trans, è appena tornata in città nel tentativo di sfuggire al passato e ad un amore finito. Stefano, assunto da poco, si scontra con la dura realtà lavorativa e assiste ai miseri magheggi nel retroscena del banco. Michele, pensionato, per ripagare un debito si ritrova invischiato nel traffico dei pegni. Un racconto corale sullo stare nel mondo al tempo della grande diseguaglianza.

Recensione:

Le ultime cose è un dipinto di attualità dai colori cupi e depressi. Il tutto si svolge in un banco dei pegni, è qui che si snodano le storie dei protagonisti e attraverso queste si racconta uno spaccato di vita sempre più comune. Insieme ai loro averi i clienti lasciano le speranze con l’intento di poter un giorno pareggiare i conti. La legge del più furbo e lo sciacallaggio sui deboli è il ritratto triste di un’Italia che stenta ad arrivare a fine mese. Il film ha un’atmosfera famigliare, nulla di artificioso o artefatto. Si respira un’aria di crisi che attanaglia la narrazione, una crisi non solo economica ma anche dei valori che finisce per spingere i protagonisti ad essere quel che non sono.

I silenzi di Irene Dionisio si lasciano sentire come un nodo in gola che inevitabilmente colpisce lo spettatore. Le immagini sono chiare e vere, perfettamente calzanti e a contatto con la realtà. Le ultime cose finisce per essere un racconto dolceamaro dei tempi odierni. Gli ultimi nel film non appaiono solo come le vittime ma anche come i complici di un sistema che sottolinea le disuguaglianze, creando spaventosi divari. Il film è il racconto asciutto, cinico e preciso di una crisi pesante come un macigno. Essendo il suo primo lungometraggio la regista riesce, scevra delle sovrastrutture dovute all’esperienza, a confezionare un prodotto diretto e dal piglio immediato. Buona l’idea di racchiudere la società all’interno di quattro mura, la staticità risulta l’espediente perfetto per un racconto quotidiano e conosciuto dallo spettatore. Ѐ proprio attraverso i silenzi che la regista riesce a descrivere la dura vita di tutti i giorni dando risalto ad una tematica estremamente attuale ma spesso taciuta. Un risultato non brillante ma ricco di significato.

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