Sinossi: In un futuristico mondo orwelliano in cui l’umanità è controllata dal potere delle corporazioni, Qohen (Christoph Waltz) è un genio del computer e lo sviluppatore più produttivo della Mancom, una corporazione diretta dall’ambigua figura che si fa chiamare Management (Matt Damon). Qohen vive recluso all’interno di una ex cappella distrutta dalle fiamme; è eccentrico, solitario ed afflitto da angoscia esistenziale. A tenerlo in vita e dargli la forza di andare avanti è solo l’attesa di una fantomatica chiamata che gli indicherà il suo destino. Finalmente il misterioso Management accetta di parlare con Qohen, affidandogli la risoluzione dello Zero Theorem, un algoritmo impossibile sull’assurdità dell’esistente. Il suo lavoro e il suo isolamento sono a volte interrotti dalle visite della sensuale e vistosa Bainsley (Mélanie Thierry) e dell’adolescente prodigio Bob (Lucas Hedges), figlio di Management. Sarà grazie a una delle invenzioni di Bob che Qohen affronterà un viaggio all’interno delle dimensioni della sua anima, dove si nascondono le risposte che sia lui che Management stanno cercando per provare o confutare il Teorema Zero.
Recensione: Un’immagine su tutte: il mega computer utilizzato dalla Mancom Corporation per elaborare gli innumerevoli dati (entità, li chiama il protagonista, Qohen Leth) dell’iperbolico Teorema dello Zero, che paventa la fine dell’universo, a causa di un processo inverso rispetto a quello d’origine, il big bang, va in frantumi a seguito di un modesto colpo assestato dall’esasperato, a quel punto, protagonista; la distruzione dell’imponente macchina comporta la fuoriuscita di una moltitudine di ‘immaginette’ che vediamo sfilare, danzare, aggrovigliarsi, prima di essere definitivamente risucchiate dal vortice di un buco nero, a cui si abbandona anche il mansueto personaggio interpretato dal magnifico Christopher Waltz. Il finale si ammanta, dunque, di una profonda ambiguità, fortemente voluta dallo stesso Terry Gilliam, giacché è proprio il mondo contemporaneo ad essere investito dall’urgenza di gestire i nuovi processi di soggettivazione, in riferimento all’iperconnessione che informa la vita di ciascuno, e, quindi, risulta assai arduo prevedere l’esito complessivo di un percorso che frastorna per tutte le implicazioni che comporta. Ma quell’immagine, dicevamo, è decisiva: quel balletto di piccoli schermi emananti luce restituisce in pieno – e di ciò non dovremmo mai smettere di essere grati alla visionarietà di Terry Gilliam – l’attuale situazione, laddove la proliferazione delle immagini, tenacemente trattenute dall’interfaccia di un monitor ipnotizzante, mai come ora esercita una fascinazione che incanta e stordisce, ammaliando come il canto delle sirene chi non opponga resistenza, e provocando, dunque, una pericolosissima deriva autistico-narcisistica (non a caso il sottotitolo del film è Tutto è vanità).
Qohen, che da tempo si è isolato per tentare di trovare una risposta che fornisca un senso alla sua esistenza, sebbene mosso da un autentico desiderio di sottrarsi al movimento scomposto che preme incessantemente alle porte della chiesa gotica in cui vive, ha frainteso il significato generale del mondo circostante, visto che la reazione adeguata non consiste nel ritirarsi (e qui risiede il suo peccato di narcisismo), ma nel rilanciare, ovvero nel portare alle estreme conseguenze, alla sua fase finale, una logica che, se radicalizzata, potrebbe sortire effetti inaspettatamente positivi, laddove non sappiamo dire ora se la totale virtualizzazione sia sinonimo di alienazione e fatale perdita di contatto con la realtà o liberazione e definitiva orizzontalizzazione dei rapporti. È un mutamento ontologico decisivo che va cautamente guidato, senza arroccarsi in atteggiamenti nostalgici rispetto a un fantasmatico passato che – è bene sottolinearlo – comunque non si cancella, ma si giustappone in maniera pulsante accanto al presente, costituendo una riserva inesauribile di senso.
C’è spazio in The Zero Theorem per lussuosi camei: Gilliam dà una sonora stoccata alla psicanalisi, fornendo all’ottima Tilda Swinton un piccolo e prezioso ruolo, con cui viene ridicolizzata impietosamente la tendenza a cercare un significato nascosto dietro ogni pensiero e azione, dato che ci si potrebbe trastullare ad libitum in tal senso, senza per questo giungere a significativi risultati, vista l’eccedenza della verità su cui si vorrebbero mettere maldestramente le mani. Matt Damon, invece, interpreta Management, il cinico e misantropo capo della Mancom Corporation, che simboleggia l’ipertrofico controllo esercitato nelle odierne società. Qohen si incontrerà proprio con lui prima di prendere la liberatoria decisione finale.
Il pomposo plurale maiestatis che Qohen utilizza è l’eclatante segnalazione che Gilliam fa al pubblico circa la vanità del suo protagonista che alla fine, dopo essere entrato in contatto con una sensuale escort, che poi si rivelerà più umana di quel che sembrava, e con un giovane genietto dell’informatica, che gli ricorda la necessità del cambiamento, si libererà di tutta la paccottiglia retorica del genio incompreso per gettarsi finalmente nel mondo, lasciandosi risucchiare anch’esso dal vortice di un buco nero che incombe, non potendo più evitare il rischio di vedere cosa si cela dietro il mastodontico muro semiotico-simbolico del capitale, facendo un tuffo nel buco del Reale. Cosa succederà dopo? Chi può dirlo? Gilliam architetta una conclusione giustamente plurivalente, mosso dall’intento di convocare lo spettatore ad assumere una posizione, a pensare fino in fondo il gesto estremo messo in campo dal suo protagonista. Cala il nero dei titoli di coda, e c’è ancora il tempo per una risata fuori campo (presumiamo della giovane amica di Qohen, la brava Mélanie Thierry), ma non sapremo mai se siamo sprofondati in una delirante allucinazione o se invece abbiano preso magicamente forma inediti e meravigliosi scenari. Ma, questo è certo – e Gilliam pare sottoscriverlo -, non si deve resistere al cambiamento, lo si deve guidare. Bisogna diventare le linee di fuga che disegnano il futuro.
Pubblicato da Raro Video e distribuito da CG Entertainment, The Zero Theorem è disponibile in blu ray, in formato 1.85:1, con audio in inglese e italiano (DD 2.0 e DTS-HD 5.1) e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti extra il Dietro le quinte (con interviste a Gilliam, Waltz e gli altri attori del film). Nella confezione è anche presente un booklet con intervista a Terry Gilliam e varie recensioni del film.
Luca Biscontini
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