Sinossi: Un gruppo di studenti universitari si avventura nella foresta di Black Hills, nel Maryland, per cercare di svelare il mistero legato alla sparizione della sorella di uno di loro avvenuta 17 anni prima e che in molti pensano sia collegata alla leggenda della Strega di Blair. Il gruppo è inizialmente ottimista, soprattutto quando alcuni abitanti del luogo si offrono di guidarli nella foresta. Nel corso di una notte apparentemente infinita, però, i ragazzi iniziano a sentire intorno a loro una presenza sinistra e lentamente si rendono conto che la leggenda è molto più reale e inquietante di quanto potessero immaginare.
Recensione: Facciamo un piccolo recap. Ormai quasi vent’anni fa The Blair Witch Project arrivava a scompaginare le carte di un genere, l’horror, che all’epoca languiva abbastanza sotto il peso dell’assenza dei suoi maestri indiscussi. Erano infatti gli anni in cui Romero era dato per disperso, Carpenter iniziava un lungo silenzio interrotto solo nel 2011 col pessimo The Ward, Wes Craven sembrava essersi un po’ incartato nella saga metacinematografica di Scream e Sam Raimi viaggiava ormai verso altri lidi con il suo Spider-Man. Molto semplicemente il cinema dell’orrore aveva smesso di essere garanzia di facili incassi per tornare a popolare le notti degli appassionati in maniera assai più carbonara. L’utilizzo intelligente del found-footage riletto in chiave horror contribuì invece a creare un rinnovato interesse del pubblico, oltre a produrre una diretta filiazione filmica composta da pochi titoli più riusciti (Rec e Cloverfield su tutti) e da molti altri che non andavano oltre il mero escamotage stilistico del “video ritrovato” utilizzato al solo scopo di mascherare una preoccupante carenza, sia di mezzi che di idee. In particolare il successo di The Blair Witch Project era anche il prodotto di in un’epoca in cui internet non la faceva ancora da padrone e il dubbio che le immagini sgranate di cui era composto potessero essere davvero amatoriali poteva ancora farsi strada, soprattutto tra i più suggestionabili. Ovvio che il filone fosse condannato ad avere vita breve e così fu, con l’ultimo rigurgito rappresentato da quel Paranormal Activity che nel 2010 chiudeva idealmente il decennio found footage.
Non era quindi sotto i migliori auspici che si accoglieva l’idea stessa di un sequel del film che se, da un lato, aveva impostato le coordinate stilistiche di un nuovo modo di rappresentare la paura, dall’altro, era invecchiato irrimediabilmente male. L’unica speranza consisteva nella possibilità che l’operazione si distanziasse – se non altro in termini formali – dalla sua matrice originaria, in un’operazione simile a quanto fatto lo scorso anno con il notevole 10 Cloverfield Lane e, in tal senso, il coinvolgimento in cabina di regia di Adam Wingard (You’re Next, The Guest e la serie Tv Outcast) non dispiaceva affatto. E invece no, piuttosto che reinventare la leggenda della strega di Blair, Wingard si limita a dare giusto una svecchiata al concetto di found-footage. Ampio spazio quindi ai droni, agli smartphone di ultima generazione e alle microcamere dotate di GPS, in una ideale moltiplicazione dei punti di vista che, di fatto, mina alle fondamenta il processo di produzione della paura in precedenza basato sul vedere poco e male. Accade dunque che Blair Witch, con il suo strutturatissimo montaggio, alla fine risulti qualcosa di simile a un film che imita l’amatoriale che a sua volta imita un film. Lo stesso processo di amplificazione viene applicato alla creazione di meccanismi perturbanti, in una coazione a ripetere di urla, immagini confuse e rumori ambientali talmente insistiti da risultare quasi fastidiosi.
Volendo ridurre tutto ai minimi termini, il principale scarto tra The Blair Witch Project e il suo sequel è che quest’ultimo fa (abbastanza) paura, laddove il primo film si limitava a giocare sadicamente con lo spettatore attraverso un accumulo di tensione che, a conti fatti, non esplodeva mai. Ma, al di là di qualche salto sulla sedia, è un film pigro, anche quando pesca dal mazzo elementi inediti (le dimensioni temporali parallele, la circolarità della storia) senza però poi svilupparli a dovere. In definitiva un po’ poco per legittimare la riesumazione di un franchise che aveva comunque fatto ampiamente il suo tempo. Soprattutto perché, a differenza di vent’anni fa, ora siamo al cospetto di una nuova era del cinema horror in cui qualcosa per fortuna sembra muoversi. E di fronte a moderni e ben più inquietanti gioiellini come Babadook, The Witch o It Follows, questo Blair Witch non ci fa proprio una gran figura.
Fabio Giusti