Sinossi: Un film evento sui quattro ragazzi di Liverpool che hanno conquistato il mondo. Il racconto delle imprese live della band dai primi giorni ai concerti che hanno fatto la storia della musica, dai tempi del Cavern Club di Liverpool fino allo storico Candlestick Park di San Francisco. La storia di come John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr si sono uniti diventando quel fenomeno straordinario che tutti conosciamo come “I Beatles.” Un racconto costituito da preziosi filmati rari e inediti, che esplora il dietro le quinte della band, il modo in cui prendevano le decisioni, creavano la loro musica e costruivano insieme la loro carriera e mostra l’incredibile personalità e lo straordinario dono musicale che caratterizzavano ciascuno di loro.
Recensione: Intanto portate i vostri bambini a vedere questo documentario. Capiranno che una volta la Musica esisteva, capiranno che il talento è anche frutto di dolore e sofferenza. Capiranno che è inutile diventare un prodotto televisivo, perchè rimarrai un prodotto televisivo e niente altro. Vedranno il primo concerto rock della storia, davanti a 55.000 persone, un concerto straordinario della perfomance allo Shea Stadium del 15 Agosto 1965.
Non credo che si possa aggiungere molto sulla leggenda dei Beatles. È stato scritto tutto e inventato oltre. Il documentario di Ron Howard ha però una vista diversa su di loro. L’occhio del regista cade sulla compattezza e sull’amicizia dei quattro ragazzi. Di come la loro verve naturale, brillante, in ogni conferenza stampa, fosse uno spettacolo nello spettacolo. Erano ragazzi spontanei, che inseguivano un sogno, che urlavano e si prendevano a cuscinate negli alberghi se il loro brano era primo nelle classifiche. E non era divisone, non c’era lotta…E si vede bene nel documentario, in una scena nella quale lui e John sembrano una perfetta metà unita davanti allo specchio, una cosa sola. Non è vera, non realistica e molto gossippara la voce che li ha sempre voluti nemici. Se prestate l’attenzione quando registrano in studio, c’è una bellezza nei loro volti, nelle loro voci, mentre compongono canzoni da far venire davvero i brividi. È uno scenario di musica perfetto.
Ron Howard focalizza l’attenzione sui concerti dal vivo, di quanto quella macchina perfetta, ad un certo punto, abbia subito un blocco, bloccato l’ingranaggio dei geni, dai primi mugugni da parte di George Harrison agli sbuffi di Paul, Ringo e John. Alla vicinanza sincera del loro manager Brian Epstein , da come li proteggeva dal mondo esterno, facendolo rimanere un gruppo di amici. Dall’autorità di George Martin, che li seguiva passo passo ma li lasciava liberi di inventare… Si divertivano di più in sala di registrazione ma erano i Beatles e i Beatles, come raccontato dalla testimonianza della storica Dottoressa Kitty Oliver, sono stati qualcosa di più, di oltre. Hanno permesso ad una ragazza di colore per la prima volta di stare in mezzo a gente bianca, godersi un concerto durante il periodo della segregazione. Sono parole che giungono fortissime quelle della dottoressa: “per la prima volta ero circondata da persone bianche, eravamo tutti uguali, perché i Beatles avevano annunciato che non avrebbero suonato se si fosse applicata la legge della segregazione razziale “. Lo so che la vostra attenzione cadrà sulle urla pazzesche, gli svenimenti, i deliri senza controllo dei loro fans, ma prestate attenzione ai piccoli particolari di immensa importanza a livello socio-culturale che i Beatles hanno segnato, sottolineati anche dalle parole di Woopy Golgberg. È emozionante, si : un documentario emozionante. Certo facile fare un documentario su i Beatles, viene bene per forza…sono sempre i Beatles. Il lato umano però ha sempre qualcosa di più importante, Eight days a week va visto per capire meglio cosa la musica è stata, da dove viene, come la stampa, orribile e terribile nei confronti del successo altrui, tenda a distruggere qualsiasi nervo.
Ecco la stampa, i giornali. Beh, non è vero che “ci devi stare”, che grazie a loro stai lì. I Beatles stavano lì perché erano i Beatles. Punto. E la cosa che mi ha impressionato di più del documentario sono le parole di Paul McCartney riferite alla pressione della stampa, quando dice che Elvis Presley era solo a sopportare tutto, loro almeno erano in quattro. Questo credo sia il senso profondo di Eight days a week.
Dunque andate a vederlo, per il lato umano dei Beatles, per le loro risate, la loro stanchezza e anche la loro consapevolezza di essere stati i più grandi, ma che il successo ha davvero un prezzo pesantissimo da pagare. Non si rompe niente però, l’amicizia è un’altra cosa. I Beatles di Eight days a week sono quattro ragazzi di Liverpool.
P.S.: una vita passata con il poster di John Lennon in camera per poi, guardando Eight days a week, scoprirsi follemente innamorata di Paul Mc Cartney
Graziella Balestrieri