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73 Festival di Venezia: The woman who left di Lav Diaz (Concorso)

Si conferma un poeta capace di straordinaria potenza visiva ed evocativa Lav Diaz, che, con il suo meraviglioso The woman who left, presenta uno degli ultimi film in concorso alla 73esima Mostra Cinematografica di Venezia, rientrando immediatamente tra gli autori più meritevoli della sua sezione e candidandosi a pieno titolo al Leone d’Oro

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Si conferma un poeta capace di straordinaria potenza visiva ed evocativa Lav Diaz, che, con il suo meraviglioso The woman who left, presenta uno degli ultimi film in concorso alla 73esima Mostra Cinematografica di Venezia, rientrando immediatamente tra gli autori più meritevoli della sua sezione e candidandosi a pieno titolo al Leone d’Oro.

Nonostante la forma decisamente non convenzionale con la quale si esprime normalmente e, sebbene inferiore al solito, la lunga durata e la sempre notevole dilatazione che caratterizza la sua narrazione, l’autore filippino è riuscito a realizzare un prodotto perfettamente accessibile e godibile anche per gli spettatori meno avvezzi al suo cinema. Senza smentirsi rispetto al suo lavoro precedente, il regista costruisce una messa in scena esemplare, caratterizzata da un bianco e nero pregno e fortemente incisivo e dalla scelta di inquadrature, ognuna delle quali potrebbe costituire un prodotto a sé. I personaggi sono incredibilmente espressivi e possiedono una eccezionale presenza scenica, tutti e quattro, quelli principali, interagiscono tra loro con una grazia e una delicatezza impressionanti data la drammaticità delle dinamiche relazionali che li legano. Un’opera particolarmente intima ove si respira un’affettività intensissima, che a tratti è talmente pervasiva da travolgere, un bisogno di calore e di slancio condiviso, di reciprocità, che traspare da ogni dialogo ed è percepibile in ogni scena. La dimensione relazionale tra i personaggi, avente come denominatore comune uno di essi, che interagisce singolarmente con gli altri, è funzionale ad esprimere una serie di vissuti e a spaziare tra  riflessioni di natura esistenziale.

È un film doloroso, in cui la pena è un ingrediente essenziale e preponderante, e con essa la solitudine, la perdita, la rabbia. Ma tutti questi vissuti amari non escludono una gigantesca empatia e la forza di sostenere tali pene mantenendo la capacità di impietosirsi, di voler bene, di occuparsi dell’altro, occuparsene con una cura di una dolcezza disarmante. Non decade la fiducia nell’essere umano, quindi, il dolore e la cattiveria, per quanto efferati, non riescono ad annientarla. E Lav Diaz  è capace di mantenere un tenore affettivo ed emotivo così alto e profondo durante tutto il film senza rinunciare a mostrare in modo anche molto crudo, corporeo, carnale, gli esiti della crudeltà e della violenza di cui può essere capace l’essere umano. E lo fa sia riflettendovi in maniera generica citando eventi esterni alla trama, sia esprimendolo attraverso dialoghi particolarmente espliciti.

Vi è poi un piano espressivo più astratto, che si sovrappone alla narrazione e che si manifesta attraverso la relazione tra luce e buio, che il regista formula mediante l’utilizzo tecnico della luce nella messa in scena, ma che esprime apertamente anche nei dialoghi. Si pensa per esempio alla scena di grandissima intensità nella quale uno dei personaggi danza da solo in mezzo alla strada ed è inquadrato inizialmente a una certa distanza in controluce, e, man mano che la camera gli si avvicina, non si vede mai il suo volto, se non per un attimo in cui trapelano gli occhi, quando si separa da chi lo stava accudendo, o quando uno dei personaggi si riferisce più volte alla mancanza di luce e al buio che incombe sulla sua realtà, o nel meraviglioso finale, che si evita di rivelare nei particolari, perché chi legge abbia modo di godere di tutta la sua  poesia.

Sono diversi gli autori presenti quest’anno alla Mostra, che riflettono sulla fede e sulla reale integrità e benevolenza di un Dio, oltre a mettere in discussione la sua esistenza. Lo fa Nick Cave nelle meravigliose e strazianti canzoni che colorano il suo lutto, lo fa Larrain nelle riflessioni di Jackie Kennedy dopo l’assassinio del marito, lo fa Malick nel suo astratto e simbolico nuovo lavoro, e lo fa Lav Diaz in questo suo ennesimo oggetto prezioso.

Sei davvero giusto?
E se lo sei, perché sono povero? Perchè sono brutto?”

Parole che nella loro estrema semplicità, dette da un personaggio così intenso e in una luce così efficace, hanno un potere evocativo fortissimo e si uniscono alle infinite sfumature che il film riesce a trasmettere. Sarebbe davvero una bella scelta da parte della giuria, quella di conferire il Leone d’Oro al concentrato di bellezza che Lav Diaz è riuscito ancora una volta a regalarci.

Roberta Girau

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  • Anno: 2016
  • Durata: 226'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Filippine
  • Regia: Lav Diaz