Chi l’ha detto che la giovinezza è l’età più bella della vita? Home, la mia unica incursione nella sezione Orizzonti, conferma la domanda in pieno. L’adolescenza è un periodo terribile: se la natura ti dona potenzialmente una fioritura fantastica, in astratto tutto il possibile e di più sia fisicamente che intellettualmente, la realtà è una brutta età di mezzo, piena di contraddizioni: non ancora pienamente consapevoli di se stessi, non ancora completamente formati anche nell’indipendenza economica, con davanti un futuro quasi oscuro, ancora sotto il dominio degli adulti disincantati e frustrati, con amore e sesso che esplodono e mettono alla prova… Dentro una società che inganna, tutta da decifrare. Insomma, un incubo che sono contenta sia passato il più velocemente e per come doveva essere.
Home riesce a cogliere le esatte sfumature da età di mezzo, anche andando a toccare casi estremi. La brava regista belga Fien Troch le racconta nello sfondo di episodi realmente accaduti che hanno per protagonisti un gruppo di ragazzi che esprimono il loro disagio esistenziale naturalmente essendo: essendo superficiali, annoiati, passando il tempo a filmarsi con il telefonino, a scattare selfie, a postare sui social network, scontrandosi con adulti (preside, genitori), sentendosi fuori dal tempo e dallo spazio, tentando di esorcizzare un vuoto inconscio che non smette di pulsare. Negli adulti e giovani sotto la nostra osservazione fa capolino Erik (un 17enne finito in carcere per aver preso a calci con un amico un barbone o cmq un essere debole e indifeso), ospite provvisorio della zia per evitare scontri tra lui e il padre (humus presumibile della violenza incontrollata che il giovane non è capace di dominare del tutto). Erik comincia la sua ‘redenzione’ lavorando dallo zio come apprendista idraulico. Entrato nel gruppo di amici del cugino, viene a sapere di John, dei problemi seri che ha con la madre. John è vittima di un rapporto ossessivo e incestuoso con una madre schizofrenica che lo schiavizza, rendendolo fragile ed insicuro. Erik diventa il suo migliore amico, sentendo a pelle più degli altri il suo grido di aiuto silenzioso che non potrà non finire dentro il più estremo dei gesti.
Fien Troch ha davvero diretto bene i suoi attori, in primis i ragazzi, in un non detto che dà forza più delle parole. Tutta la fragilità, l’incapacità di esternare le proprie emozioni, un silenzio carico di paura nel non trovare le parole adatte, nel non volerle usare, non saperle usare. Nella rabbia di sentirsi impotenti nell’azione, di sentirsi non creduti a prescindere. Anche gli adulti esternano tutto il carico di vite spese non si ricorda più in nome di cosa, di sconfitta nel non saper trattare veramente con i propri figli. Il taglio tra i due mondi è più denso perché sottile, sempre percepito come una patina impossibile da staccare. La camera è mobile, ma non invade gli stati d’animo che imprime, che cattura. Cambia formato e spessore, facendo posto allo schermo di un telefono cellulare, immedesimandoci con tutta la perdita di riferimenti che questo tempo, più che mai lascia all’adolescenza. Ed è ugualmente implacabile nel testimoniare il dolore e la solitudine di un’età adulta, di un nucleo familiare sempre più lontano dall’essere la soluzione ad una realizzazione personale, a simboleggiare un reale rifugio e scampo a tutte le mancate certezze della vita.
Maria Cera