Avvio di questa Venezia 73 nel casuale e riuscito primo collage di proiezioni. Di una porzione di Festival (volutamente?) capace di stare sul pezzo: dentro la voragine surreale della nascita del Fertility day, le due pellicole Prevenge, film di apertura della Settimana della Critica, e Hounds of love, scovato nelle Giornate degli autori, tengono ferma l’asticella sulla sottomissione- subordinazione del femminile al maschile sociale, politico, economico: una legge di natura apparente (visto che la donna è il sine qua non per la continuazione della specie), che anche nei paesi occidentali pare eterna nei secoli dei secoli.
Prevenge è la copertina con la quale la settimana della critica spalanca le sue porte visive ad un viaggio parallelo e speculare al codificato, stabilizzato, conforme a norma, cinema ufficiale. Questo incompleto e approssimativo slasher-movie di Alice Lowe, attrice di commedie televisive nel Regno Unito, stimola interrogativi sulla messa in discussione della maternità quale sistema redentivo per una donna. La nostra eroina, interpretata dalla stessa Alice Lowe, davvero incinta al 7° mese di gravidanza, è una pregnant serial killer, invasata dalla stessa bambina-mostro che porta in grembo, che la istiga a compiere la sua vendetta personale. Perché una donna incinta privata del padre del bambino è un essere abbandonato, che merita compassione, (prima domanda indotta… “ No! Al contrario, ha una forza sovraumana, una specie di suo clone in grembo che non le fa avere bisogno di nulla e grazie al quale ha tutta l’energia che le serve per allevare una vita), perché la maternità completa la donna, la rende più dolce, amabile (seconda domanda indotta… “No! Una metamorfosi nel corpo, dettata da un essere che cresce, si sviluppa dentro di te, che modifica e controlla i tuoi bisogni, non è sempre idilliaco e non ti rende inevitabilmente in pace con il cosmo, riempita e serena). Insomma, la Lowe qualche dubbio lo accende, ed ogni tanto un sorriso lo genera, ascoltando la voce cronenberghiana della bimba in pancia, piccolo diabolico mostro che dissipa dubbi e perplessità sulle esitazioni omicide materne.

Hounds of love, opera prima dell’australiano Ben Young, contestualizza invece la passività femminile nella realtà di una cronaca nera claustrofobicamente efficace. Ispirato dalla lettura di casi di serial killer donne influenzate dal partner, la pellicola confeziona una ben riuscita storia di sottomissione femminile: a Perth, nel 1987, John ed Evelyn, marito e moglie, adescano ragazze, portandole a casa loro, seviziandole e poi uccidendole. Nella routine di questa perversione dettata nei modi e nei tempi dal marito padrone, arriva Vicki la nuova vittima scelta, che mina i confini della coppia e soprattutto riflette ad Evelyn la propria incapacità a ribellarsi ad un rapporto falsamente definibile come amore, frutto in realtà di esclusiva dipendenza economica ed affettiva. Man mano che la vicenda si dipana nell’occhio fotografico hopperiano di Ben Young, supportato da un cast tutto all’altezza e da un subplot che allarga il cerchio della dipendenza femminile alle dinamiche borghesi della fine di un matrimonio, le false certezze della donna cominciano a vacillare, dentro un finale redentivo a metà, che non esonera l’essere femminile dalla responsabilità di una debolezza non solo genetica, una debolezza che oggi non le può più essere perdonata-giustificata, per nessuna ragione.
Maria Cera