Louise Bank (Amy Adams), professoressa di linguistica comparata, viene coinvolta dal colonnello Col Weber (Forest Whitaker) in una missione delicata. 12 corpi monolitici extraterrestri sono atterrati in 12 località diverse del globo terrestre, tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Pakistan. Louise, che scopriamo aver già collaborato con l’esercito in una traduzione dal farsi di un video di rivoltosi, ha l’arduo compito di stabilire un canale di comunicazione con gli alieni. Perché hanno deciso di venire sul pianeta Terra?
Arrival del talentuoso regista canadese Denis Villeneuve, consacrato all’attenzione internazionale dai thriller Prisoners e Sicario e già apprezzato per il magnifico e spiazzante La donna che canta, si inscrive in quella letteratura di “incontri ravvicinati del terzo tipo” che fa capo alla ‘positività’ di Spielberg (con il sopracitato titolo, ma anche con E.T.). Villeneuve, come molti prima di lui, indaga l’incontro tra umani e alieni addentrandosi poco o niente nel mondo degli ospiti inaspettati e concentrandosi piuttosto sul primo contatto tra due creature viventi che, innanzitutto, necessitano di un linguaggio comune per intendersi. Nell’avvicinamento agli alieni Louise è affiancata dal fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner) il quale, senza sottrarsi allo stereotipo del ruolo, inizialmente relega il linguaggio a scienza minore, ‘femminile’, in antitesi alla ‘mascolina e virile’ scienza della fisica, fulcro dell’essenza dell’uomo. Villeneuve ricalibra i due poli nel film, scienza e linguaggio, regalando alla scienza scene spettacolari (l’assenza di gravità nel corridoio del corpo extraterrestre a pochi passi dalla terra, ad esempio) e affidandosi al linguaggio per la soluzione dell’enigma. In accordo alle nuove tesi sul linguaggio dei filosofi contemporanei (da Wittgenstein a Chomsky passando per Heidegger), per Louise-Villeneuve il linguaggio non è solo strumento ma essenza, intelligenza, pensiero dell’uomo. La struttura di una lingua è diretta emanazione del pensiero, il sistema linguistico esprime il modo di pensare, e quindi di vivere, dell’essere.
L’incontro con gli alieni, delle creature tentacolari che appaiono dietro uno schermo di vetro in un ambiente fumoso, forse non aggiunge granché all’immaginario, niente ci viene rivelato della vita di queste forme intelligenti a metà tra un insetto e un calamaro gigante e del mondo da cui provengono. Villeneuve punta tutto su un solo concetto, un’arma o dono, a seconda dell’interpretazione. E l’interpretazione, la decodifica dei geroglifici o logogrammi creati dall’inchiostro che fuoriesce dai tentacoli di “Abbott e Costello” (Gianni e Pinotto nel doppiaggio italiano) – così Louise e Ian battezzano il duo alieno – e si fa parola (o parole, insieme spettacolare di concetti) è la meta a cui anelano i nostri, è la vera forza trainante dell’intero film. I simboli circolari sono la lingua-dono dell’altro, un nuovo sistema di scrivere ma soprattutto di pensare che supera il nostro concetto di tempo lineare e permette di accedere – però solo a Louise! – al futuro. I logogrammi circolari prendono quindi il posto delle famose cinque note di Encounters usate da Truffaut per comunicare pacificamente con l’enorme UFO. Louise “cracca” il sistema linguistico e si appropria del dono-arma rimettendo insieme i pezzi delle 12 presenze monolitiche, grazie alle visioni (premonitrici), alle allucinazioni di convergenza tra passato e presente, laddove definire prologo ed epilogo perde significato.
Sullo sfondo di un film fantascientifico incentrato sulla potenza del linguaggio si colloca l’essere umano con i suoi limiti dettati dalla paura dell’altro: l’intelligence delle potenze mondiali pronta ad attaccare ciò che non conosce e non capisce.
Arrival ha il merito di rivedere gli equilibri tra spettacolo e autorialità, riportando il messaggio a una dimensione accessibile e più vicina all’intrattenimento. Affondato nell’universo spielberghiano, con un occhio al mondo visivo e tematico di Nolan e all’estetica di Malick, Arrival può suscitare perplessità per via dell’inevitabile confronto con i sopracitati autori e per alcuni limiti strutturali (i movimenti poco accurati dell’esercito, l’intuizione del linguaggio alieno poco sviluppata) ma è senz’altro fonte di spunti e riflessioni sulla possibilità di comunicazione tra l’io e l’altro oltre le barriere linguistiche, etniche, culturali, politiche, sociali.
Francesca Vantaggiato