Sinossi: Davis Mitchell (Jake Gyllenhaal) lavora nella società di consulenza finanziaria del suocero (Chris Cooper), tutto sommato è felicemente sposato, vive in una casa lussuosissima e percorre quotidianamente la sua agiata carriera professionale. Impegnato negli affari, segue i suoi schemi e un po’ si disaffeziona alle componenti della vita più umane e autentiche. Un giorno però in un incidente stradale perde tragicamente la moglie, tale drammatico evento sconvolgerà completamente la sua vita e farà esplodere i molti scricchiolii della sua identità, così piomberà in una crisi sempre più profonda dalla quale sembra non riuscire più a riprendersi, se non distruggendo e rompendo definitivamente col passato. Un distributore automatico inceppato poco dopo la morte della moglie lo spingerà ad aprire una strana corrispondenza con la società che gestisce tali macchine, le sue lettere andranno ad attrarre l’attenzione della responsabile dell’assistenza clienti dell’azienda, Karen (Naomi Watts), con la quale instaurerà un legame profondo. Di lì a poco conoscerà anche Chris (Judah Lewis), il figlio di Karen, tumultuoso ragazzino adolescente alla ricerca della propria identità. Tra i tre si instaurerà un legame profondo mediante il quale Davis cercherà di raccogliere i pezzi della sua vita per ritrovarsi.
Recensione: Demolition, l’ultima fatica di Jean-Marc Vallée, presentata ormai circa un anno fa nella selezione ufficiale del Toronto International Film Festival, dopo un bel po’ di tempo grazie alla Good Films sarà finalmente distribuito nelle nostre sale dal prossimo 15 settembre.
Guardando questa opera ci accorgiamo subito che è un film tipicamente di Jean-Marc Vallée. Ritornano temi tanto cari al regista franco-canadese, come il rapporto fra padri e figli, la ricerca di sé e la scoperta della propria identità sessuale, già sapientemente raccontata nel bellissimo C.R.A.Z.Y. Vi è un forte parallelismo con il precedente Wild, questa volta però la tematica della redenzione e riconciliazione viene connotata al maschile. Forte è anche l’utilizzo delle musiche che entrano prepotentemente nella diegesi dando non solo un ritmo alla narrazione ma partecipando in essa con un ruolo tutt’altro che secondario. Alcuni passaggi della sceneggiatura di Bryan Sipe sono alquanto efficaci e vi è un ricorso al montaggio ottimo nell’esaltare i flussi di coscienza del protagonista, uno dei punti di forza della pellicola.
La grande metafora dichiarata apertamente nel film dal suocero di Davis giace sul processo che ci porta a smontare un oggetto per scoprire come funziona. Le demolizioni che compierà Davis, in modo maniacale e compulsivo, sono gridi di aiuto e rappresentazioni della destrutturazione che nell’arco del film compie su se stesso. A volte le cose facili, le certezze, le sicurezze ci rendono non curanti e ingrati oltre che insensibili. Il successo e la vita in discesa di Davis lo avevano reso un uomo troppo asettico, concentrato sulla performance e sui propri schemi, ignaro dell’essenza di ciò che amava veramente. Davis è fossilizzato emotivamente come fosse un uomo senza cuore, incapace di provare emozioni. Nel momento più difficile della sua vita si crea in tal modo un rifugio, una corazza per difendersi, che va demolita quanto prima.
Il film si alimenta del legame fra questi tre personaggi che si intrecciano e aiutano l’uno con l’altro, dove Davis è il vertice principale per presenza scenica ed il piccolo Chris è l’elemento risolutore del racconto. Ognuno servirà a l’altro per trovare se stesso in una storia dove è come se ognuno scavasse dentro di sé, andasse a smontare le convenzioni per trovare quel pezzo che faceva funzionare tutto e ripararlo. Davis, Chris e Karen sono come oggetti che non funzionano bene, che hanno bisogno di ripararsi, di ritrovare ciò che non va e riprendere il loro funzionamento corretto.
In questa reiterazione della demolizione che poteva o voleva essere l’apice semantico del film di Vallée ad un certo punto però si perdono le redini del racconto, tutto culmina in un lieto fine sin troppo risolutivo e troppo poco credibile. L’opera ultima di Vallèe, dunque, pur portandoci per diverse peculiarità un’ottima espressione di cinema, ci lascia l’amaro in bocca, come se qualcosa non funzionasse, anch’essa come i tanti oggetti da smontare e riparare che vengono messi in scena nel film.
Lorenzo Ceotto