Dopo un esordio tutt’altro che silenzioso, che pur non essendo esente da difetti, non è certo passato inosservato (Whiplash, 2015), Damien Chazelle apre la 73esima Mostra Cinematografica di Venezia in grande stile, firmando un musical travolgente nel quale cinema, danza e musica confluiscono con una forza prorompente in un’unica direzione, conquistando e riuscendo più volte a commuovere anche lo spettatore più lontano dal genere.
Chazelle unisce alla perfezione e con una grande cura dei particolari una serie di elementi formali ed estetici, colori, simmetrie, coreografie, luci, che entrano in totale sintonia con i contenuti e con le performances degli attori, utilizzando una colonna sonora che, oltre ad essere bellissima, è straordinariamente evocativa e trascinante, contribuendo in larga misura al coinvolgimento emotivo, tanto che ci si ritrova a intonarne i motivi più orecchiabili anche dopo la visione.
Entrambi all’altezza i due protagonisti, interpretati da Emma Stone e Ryan Gosling, ma una menzione davvero speciale va indubbiamente a lei, splendida interprete femminile, che, al di là della sua incredibile e oggettiva bellezza, brilla letteralmente di luce propria, irradiandola, la stessa trasmessa dai colori della pellicola, armonizzandosi perfettamente con le immagini.
Ryan Gosling, invece, che non detiene lo stesso patrimonio innato e naturale della sua coprotagonista, compensa assolutamente interpretando un ruolo nel quale riesce a restituire con grande efficacia una luce altrettanto intensa, quella di un’essenza primaria, individuale, unica, calda, viva, il cui valore costituisce il nucleo centrale del film.
L’attore canadese incarna il sogno e la passione più preziosi, quelli da tenersi stretti, da coltivare, da crescere, la fonte dell’energia che diventa forza propulsiva, tenendo in piedi e portando avanti l’individuo, e nello stesso tempo, proprio perché possiede la chiara consapevolezza del valore infinito di quel bene così prezioso, la capacità di riconoscerlo in chi ama e di alimentarlo con talmente tanta intensità da dargli la forza di emergere e prendere vita propria.
Los Angeles fa da contesto ideale per accogliere la rappresentazione del valore dei sogni, del credere profondamente nelle proprie passioni, del portare avanti ad ogni costo ciò che è frutto della propria linfa vitale, a prescindere dalla paura di non ricevere consensi, quella paura che paralizza, ospitando contemporaneamente anche gli aspetti più controversi e ombrosi di questo messaggio, che potrebbe sembrare banale, ma, oltre che essere reso magnificamente, non è mai inutile.
La narrazione segue un percorso molto semplice, quasi elementare, sviluppando due elementi nodali fondamentali che si intersecano e si compenetrano, nell’umanissima difficoltà di trovare un equilibrio. A uno sguardo più superficiale, data la risoluzione degli eventi con la quale esita la vicenda, potrebbe sembrare che individualità, passione personale, forza del proprio essere, siano incompatibili con la condivisione degli stessi, come se l’unicità e l’essenza primaria di un individuo non potessero essere contenuti nello spazio limitato di una relazione, come se questa avesse dei confini troppo stretti per contenerne più di una. In realtà il film comunica esattamente il contrario.
È assolutamente vero che purtroppo non sempre si verificano i tempi e le circostanze che consentano che soggettività e condivisione vadano di pari passo, e soprattutto che permettano di mantenere un rapporto vivo e in salute, ma è altrettanto vero, e probabilmente è il concetto più bello comunicato dal film di Chazelle, che se quel talento soggettivo non fosse visto, accolto, sostenuto, riscaldato, non conserverebbe la forza, la costanza, il coraggio con i quali può essere portato avanti. Che tante volte è presente, ma che la solitudine non aiuta, non che non sia possibile che si manifesti, ma certamente l’essere riconosciuto e amato gli dà una grande spinta.
E non è sufficiente che venga riconosciuto e amato da chiunque, altrimenti dipenderebbe dall’esterno, dai consensi, originerebbe e passerebbe da chi lo vede più che dall’anima di chi ne è portatore.
No, non da chiunque.
Deve essere sostenuto da qualcuno che amiamo, da qualcuno che è importante per noi. Perché solo così quel riconoscimento, alla fine, non ha origine e viene nutrito da altro che dalla stessa nostra luce.
E così, anche se Sebastian e Mia si perdono, lui riesce a coronare il suo sogno dandogli un nome in funzione di chi lo ha visto, sostenuto e condiviso insieme lui, quel sogno, e lei, altrettanto, lo realizza e vince le sue insicurezze soltanto spinta dal calore di chi la vede anche quando non è in grado di vedere se stessa e quello che vale.
Questo spaziare tra individualità e condivisione si muove in una struttura solidissima nella quale tempo, memoria e ricordo hanno un ruolo fondamentale, che si manifesta sia dal punto di vista estetico, come testimoniato dal mogano dell’auto di Sebastian che si vede già nella prima scena, sia attraverso la colonna sonora, i costumi e gli elementi narrativi, come la difesa strenua da parte di Sebastian di un genere musicale pieno di anima ma poco capito dai più e che per questo sta morendo, il jazz, o la scena, tra le più coinvolgenti, del provino, durante il quale Mia canta la sua storia, ricordando la passione della zia, ai cui racconti riconduce la propria.
Uno degli aspetti più pregevoli del film è che niente è forzato, le componenti cantate e danzate non sono mai stucchevoli, sono inserite in modo molto naturale e si alternano a quelle prettamente recitate senza imporsi o stridere in alcun modo.
Quello che normalmente in Ryan Gosling viene considerato un difetto dai suoi detrattori, il suo essere poco espressivo, in questo caso diventa un vantaggio, facendo da contrappeso e stemperando la potenziale ipertrofia determinabili dalle performance di danza e canto, rendendole molto naturali e autentiche.
La La Land è un film che parla d’amore, di sogni, di stelle, ma anche di paure e di rimpianti, delle strade che vengono chiuse irrimediabilmente da qualsiasi scelta e che non sappiamo dove ci avrebbero portato. In pochi bellissimi minuti, Chazelle ci prende per mano e ci permette di percorrerne più di una, dando un po’ di respiro a una realtà limitata, offrendoci per un attimo l’illusione di poter fare spazio ai sogni infranti, di poter aprire le strade chiuse, con una freschezza e una delicatezza che non ci fanno sentire troppo forte il rumore quando cadono.
Roberta Girau